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Per celebrare il poeta fingitore, ci voleva proprio un regista incantatore: il Pessoa di Bob Wilson a Firenze

Klaus Martini e Gianfranco Poddighe in scena al Teatro Della Pergola per 'Pessoa' di Wilson (foto di Lucie Jansch)

 Prendere le misure, con i grandi della scena, è una bella impresa. Soprattutto per noi italiani che esageriamo sempre in quanto a superlativi, vezzeggiativi e qualificativi in genere, con tanto di intensificatori avverbiali e non.

Peter Brook, quando qualcuno si rivolgeva a lui chiamandolo ‘Maestro’, sfoderava uno dei suoi più disarmanti sorrisi di diniego: ‘no, non ho mai voluto insegnare nulla, non seguo teorie e la mia idea di teatro è rappresentata più o meno da una corda tesa’. Sic.

 Bob Wilson - un altro dei protagonisti della 'Rivoluzione Settanta', che è considerato un creatore straordinario di emozioni artistiche - sul suo bellissimo sito personale, alle pagine ‘About’ ha messo un semplice ritratto fotografico accanto a cinque-sei righe che dicono: ‘Dalla fine degli anni '60, le produzioni di Robert Wilson hanno plasmato in modo decisivo lo stile del teatro e dell'opera. Attraverso il suo uso caratteristico della luce, le sue indagini sulla struttura di ogni semplice movimento e il suo rigore classico del design scenico e degli arredi, Wilson ha continuamente allargato la forza e l'originalità della sua visione. Gli stretti legami e le collaborazioni di Wilson con importanti artisti, scrittori e musicisti continuano ad affascinare il pubblico di tutto il mondo’. 

 Volendo, poi, bisogna andare ad aprire la sezione riservata ai giornalisti, e nel ‘press kit’ si può approfondire meglio la sua biografia, duemila parole la versione lunga, appena trecentocinquanta la breve.

 Quello che è invece sempre sterminato per estensione, nel caso di Wilson, è il calendario degli appuntamenti, pagine e pagine, con una cinquantina di date già piene da qui a ottobre. Il che fa due volte impressione, e al raddoppio contribuisce la considerazione che Wilson segue di persona le sue rappresentazioni, quasi una per una, a 82 anni e rotti. 

 Limitandosi all’inizio del mese in corso, il 2 maggio ha debuttato a Firenze, in prima assoluta - ed è il motivo principale di questa nota - il suo nuovo lavoro su Pessoa, che resta in cartellone fino al 12 al Teatro Della Pergola.

In questa decina di giorni Wilson è anche atteso in Germania, martedì 7 maggio, per la ripresa al Düsseldorfer Schauspielhaus del suo ‘Dorian’ del 2022, dove s’intrecciano tre storie complesse di amori omosessuali, quelle di Oscar Wilde, di Francis Bacon e dello stesso Basil Hallward, pittore ossessionato appunto dal suo modello Dorian Gray.

 Ancora, l’8 maggio, Bob Wilson presenta a Lipsia, nel Museo di arti applicate GRASSI, la mostra immersiva ‘Una sedia e tu’, 60 anni di storia del design con le opere della collezione di Thierry Barbier-Mueller, che aveva allestito originalmente a Losanna.

 Una breve pausa da qualche parte, e poi - sempre mentre Pessoa è in scena a Firenze - dal 10 al 12 maggio il texano Wilson ha in calendario un attesissimo appuntamento-sfida con il pubblico inglese, nel grandioso Barbican Theatre di Londra, dove la stella francese Isabelle Huppert si cala nei panni di Maria Stuarda, per il monologo ‘Mary Said What She Said’, spettacolo di grande successo che dopo la prima a Parigi nel 2019 arrivò subito a Firenze, sempre al Della Pergola.

 Tanto per stringere, ‘trottola’ Wilson nella seconda parte del mese gira tra Londra, Firenze e Kaunas in Lituania, poi va a Rouen per un’installazione nella cattedrale, ancora a Sofia per la ripresa de ‘La Tempesta’ romena e ripassa da Düsseldorf, stavolta  per ‘The Sandman’ da E. T. Hoffman con la cantautrice Anna Calvi

 Ah, giusto per la cronaca, il grande Bob, di nome e di fatto, dato che è alto due metri o quasi, non va mai in giro con l’aria di chi ha fretta o si crede qualcuno, anzi si ferma volentieri a salutare e chiacchierare.

Quando paga il conto negli alberghi o nei ristoranti, se richiesto, firma con calma il libro degli ospiti, con i suoi autografi artistici - di solito con la 't' finale di Robert che è quasi una crocina e il puntino sulla 'i' di Wilson diventa un omino a testa in giù - a cui aggiunge quasi sempre qualche altro ghirigori. Provate a chiedere dove è ospite a Firenze, se non ci credete.

 E veniamo dunque a Pessoa, un progetto già testato come ‘work in progress’ proprio al Della Pergola, dove Wilson ama lavorare, e che ora va compiutamente in scena per la prima volta (in seguito sarà nel Théâtre de la Ville di Parigi, capofila nella produzione, al São Luiz Teatro Municipal de Lisboa, che è tra i co-produttori e poi in altri Paesi). 

 Lo spettacolo, in italiano, portoghese, francese, inglese (con sovratitoli in italiano), è in realtà una sorta di montaggio di testi originali del portoghese Fernando Pessoa. Il titolo è in inglese, ‘Pessoa, Since I’ve been me’, da quando sono io Pessoa: del resto, lo scrittore aveva un legame speciale con la poesia di lingua inglese, Coleridge e Yeats in particolare, a cui è stato paragonato (ha poi curato varie traduzioni in portoghese anche di letteratura, da Hawtorne a Poe). Conosciuto per i suoi varie eteronomi e per quel particolarissimo rapporto con l’identità, che ne ha fatto un maestro del Modernismo post-romantico, Pessoa viene quasi sempre citato per l’incipit di una poesia su stesso, ‘Il poeta è un fingitore’, che aveva intitolato ‘AUTOPSICOGRAFIA’ (1). 

 Ecco che cosa si può leggere nella scheda dello spettacolo presentata dal drammaturgo di fiducia di Wilson Darryl Pinckney (scrittore americano nero, esperto di cultura e letteratura black, conosciuto anche per il suo impegno civile e politico, che condivide con il compagno James Felton, poeta inglese): 

 ‘Nel suo ultimo lavoro, Robert Wilson, artista leggendario della scena internazionale, rende omaggio a una delle figure più originali del Modernismo del XX secolo. La poesia di Fernando Pessoa è una ricerca, una profonda interrogazione sul linguaggio come esistenza. La sua inventiva si è espressa notoriamente come la gestazione e nascita dei molteplici sé in attesa nella sua testa.

Non erano pseudonimi. Erano lui, ma allo stesso tempo non erano lui. Pessoa li chiamava eteronimi. Erano i suoi alleati in una grande avventura, la ricerca della voce liberata della poesia. Robert Wilson evoca le varie atmosfere delle opere di Pessoa, la fluidità dell’umore, meditativo o comico, razionale o anarchico, che nasce da una vita condivisa con personalità eteronime come Alexander Search o Bernardo Soares o Vicente Guedes o Alberto Caeiro o Álvaro de Campos o Ricardo Reis.

La libertà nell’uso delle immagini di Wilson è l’equivalente di questi allegri e severi scettici della metafisica. Ci presenta Pessoa e la sua cerchia di personaggi come evasori dei concetti filosofici tradizionali.

 Wilson è sensibile quanto Pessoa alla realtà dei sogni e all’inaffidabilità del concreto. Emozioni e sensazioni sono misteri. La forza dell’immaginazione poetica di Pessoa sta nella sua volontà di scrivere e continuare a scrivere contro ogni dubbio e nella sua straordinaria capacità di farlo passando indifferentemente da una lingua a un’altra. 

Catturare l’essenza della relazione dell’anima umana con il mondo fisico è il suono della ricerca. Fernando Pessoa ha trovato in sé gli amici necessari. Robert Wilson si delizia a rendere omaggio alle scelte di Pessoa’.

 E veniamo invece al rapporto di Wilson con il Teatro Della Pergola, che si è sicuramente cementato negli anni, e non solo grazie alla collaborazione tra il direttore del Théâtre de la Ville Emmanuel Demarcy-Mota e Marco Giorgietti del Teatro della Toscana, che condividono anche il progetto comune ‘L’Attrice e l’Attore Europei’, attraverso cui è stato selezionato il cast stesso di Pessoa (Maria de Medeiros, Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Sofia Menci, Gianfranco Poddighe e Janaína Suaudeau).

 Come già detto, il legame di Wilson con Firenze nasce nel 2019, per la prima tournée di ‘Mary Said What She Said’. Peraltro il titolo sono le ultime parole pronunciate da Maria Stuarda prima di morire ghigliottinata, il testo dello spettacolo è sempre di Pinckney (è stato questo, dopo ‘Orlando’, il secondo dei tre lavori costruiti per Isabelle Huppert).

In locandina di 'Mary Said...' c’erano altri due nomi che ricorrono anche in quella di questo nuovo Pessoa. Il primo è quello di Jacques Reynaud, costumista piuttosto noto soprattutto sulla scena lirica e collaboratore di fiducia di Wilson da anni. Il secondo nome è quello del co-regista Charles Chemin. Parigino, classe 1983, formatosi come interprete di teatro-danza, ormai di casa anche a Firenze, come artista associato al Della Pergola, Chemin è pure direttore artistico del ‘The Watermill Center International Summer Program’ che Bob Wilson cura a New York. 

 ‘Pessoa, Since I’ve Been Me’ è sicuramente un appuntamento da non perdere, proprio per l’intreccio singolare e paradossale tra le idee e la figura dello scrittore portoghese e quelle di uno dei più grandi protagonisti del teatro contemporaneo, come ben suggerito nella scheda stessa del drammaturgo.

Sbrigandosi, armati di pazienza per le attese online, si trova ancora qualche posto, nello splendido teatro inaugurato dagli Accademici Immobili nel 1657, fino a domenica 12 maggio.

Wilson mantiene intatta da mezzo secolo una potenza visionaria che tantissimi provano a imitare e che vale a priori il prezzo del biglietto e del viaggio. Basta anche dare soltanto un'occhiata alla pagina del sito in cui ha riunito gli 11 lavori più iconici.

E certo non bisogna far nemmeno caso ai soliti invidiosi che provano a criticarlo dicendo che ripete troppo se stesso. E’ la sua cifra di architetto e maestro delle luci, lo spettatore lo coglie al primo impatto: non c’è proprio discussione. 

 A meno che non siate un po' della stessa convinzione di quel noto giornalista romano che, invitato a un'importante mostra su Caravaggio e i caravaggeschi, rispose (e giuro che non riporto per sentito dire, avendolo ascoltato di persona): 'Mah, visto un Caravaggio, visti tutti'.

Per tornare all’inizio, qualche sciocco diceva lo stesso anche del non-Maestro Peter Brook: ‘sempre due rametti senza scena e tanta sotto-recitazione, per non dire dei soliti testi…’.

Dopo di che, ancora oggi si ricordano l'emozione, per esempio, i fortunati che nel 2018 sono riusciti a vedere, proprio anche al Della Pergola di Firenze, la mini-riproposta del mitico ‘Mahābhārata’, con il titolo ‘Battlefield’, campo di battaglia, che tra l’altro è all’origine di quel dono vivente di Brook all’Italia che si chiama Jared McNeil.   

Scena d'insieme di 'Pessoa - Since i've been me' di Robert Wilson (foto di Lucia Jansch)

(1) 'AUTOPSICOGRAFIA' DI PESSOA (TRADOTTA DA ANTONIO TABUCCHI)


Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore. (1° aprile 1932)

(Da ‘Una sola moltitudine’, ed. Adelphi (1979), traduzione di Antonio Tabucchi)


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