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Pippo Delbono stravince con 'Amore'. E poi Need Company, Russo Alesi, Ontroerend Goed...Il 2022 rivisto ai saluti finali

Particolare del ritratto di Pippo Delbono, disegnato da Joana Villaverde, dal bel libretto di sala di 'Amore'.

 L’anno che sta finendo porta via con sé anche la domanda su quali spettacoli hanno meglio corrisposto a chi, come noi, ‘vuole piangere, ridere e applaudire, ovvero prendersi cura insieme delle sensibilità artistiche, urlando ‘bravo’ a chi se lo merita per davvero’. Ecco un primo elenco, fazioso ovviamente.

 'Amore' di Pippo Delbono: attore-autore-regista grandissimo, e non da ieri, con la sola voce da fondo sala ha raddrizzato in poche battute le bocche storte di tanti che magari sono accorsi a vedere titubanti questo nuovo spettacolo, e le ha riempite di lacrime con un racconto ‘a cuore aperto’ di quel che resta dei sentimenti quando una pandemia si porta via la persona più cara, oltre alla libertà di tutti. ‘Amore’ insegna persino a rispettare il fado, di cui è intriso: confesso di averlo visto due volte di seguito, con la gioia di pagare tutti e due i biglietti, e la seconda è stata ancor più emozionante (dal 28/2 ‘Amore’ torna in Italia, a Torino Fonderie Limone Moncalieri).

 Livello altissimo, seppur con linguaggio ben diverso, ‘Billy’s violence’ di Need Company, una sorta di rilettura antologica della violenza nel teatro di Shakespeare, che riesce ad arrivare dritto al cuore e al cervello del pubblico, per la maturità così ben raggiunta dal linguaggio ‘post-teatrale’ di Jan Lauwers. Vero e proprio maestro della nuova scena europea, nelle stagioni del Covid Lauwers è stato in grado di portare in scena questo omaggio a William Shakespeare, di cui sta allestendo il secondo atto (‘Billy’s Joy’), di preparare per il festival di Salisburgo la riproposta dell’opera ‘Intolleranza 60’ di Luigi Nono e d’inventare con la Klangforum Ensemble di Vienna uno splendido collage di musica contemporanea sull’amore, ‘Amopera’.

 Se si vuole andare ancor più nel dettaglio, 'en ralenti' rivediamo per merito: 'Padri e figli' di Fausto Russo Alesi, all'esordio come regista, solidamente sulla linea del teatro artistico ‘povero’; 'Are we not drawn onward to new erA' dei belgi Ontroerend Goed, direttore artistico e regia Alexander Devrient, per la strepitosa innovazione di linguaggio; Yana Ross 'Brief Interviews with Hideous Men - 22 Types of Loneliness', menzione speciale per la fedeltà al testo originale (David Foster Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi). Di 'Triptych' dei Peeping Tom, rivisto alla Biennale di Venezia, è persino riduttivo dire che si tratta della miglior performance in assoluto degli anni Venti. Un plauso ancora, al volo, per Chiara Michielini, Ariel ne 'La Tempesta' di Alessandro Serra (regista di prim’ordine che certo non scopriamo adesso), miglior attrice ex aequo con Anna Coppola, spettro e primattore in 'Hamlet' di Antonio Latella, vecchia balia e narratrice in 'Zio Vanja' di Simona Gonella. A proposito di premi, infine, l’unico davvero meritato è stato il Leone d'Oro a Christiane Jatahy, e per l’occasione i fortunati presenti hanno potuto finalmente vedere il suo ‘The Lingering now’/‘Le Present qui Déborde’, l’ultimo splendido atto del suo ‘teatro-teatro’ prima della svolta politica.

 Infine, buon 2023 a tutti i dramaholici, e che il dio del teatro ci doni tanti nuovi ‘hangover’!

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