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Quel graffio del Leone sul taccuino e l'amaro in bocca dopo il buffet

A Paolo che segue il teatro con evidente passione e speranza per il pubblico e tutti noi Grazie! Armando

 Un gran bel graffio di Leone d’Oro, anche quest’anno, è finito sul taccuino del cronista a Venezia per la Biennale Teatro. Suona anche come il miglior augurio di compleanno di questa nostra piccola iniziativa editoriale, a 12 mesi esatti dalla dedica di Christiane Jatahy.

 E’ giusto condividere la soddisfazione di un riconoscimento tanto prezioso perché viene da un personaggio come Armando Punzo, ché oltretutto - detto con la nostalgia per un mondo che purtroppo non abbiamo potuto conoscere di persona - evoca subito l’aura del mito Grotowski, di cui è stato allievo.

 Bisogna ammettere, comunque, che una cerimonia e un ricevimento a seguire sulla terrazza di Ca’ Giustinian con una trentina di carcerati festanti, in libera uscita da Volterra a Venezia, è stato un avvenimento più unico che raro.

 Speriamo almeno che, grazie a questo Leone, la Fortezza di Volterra possa avere finalmente un vero e proprio Teatro Stabile, punto di partenza per il riconoscimento del lavoro attoriale degli attuali volontari della Compagnia e di quei pochi non detenuti che si aggregano (nel caso di ‘Naturae’, per esempio, oltre a Punzo hanno lavorato con i carcerati un gruppetto di esterni che comprende anche donne, due attrici e la costumista). 

 E un grande onore è stato anche aver condiviso un brindisi e una chiacchierata molto istruttiva, a margine del buffet, con un gentilissimo ormai quasi ex attore della Compagnia della Fortezza, casertano d’origine, che vede vicino il traguardo di ricominciare una vita normale, fuori, dopo aver scontato quasi tutta una condanna di 19 anni.

 La conversazione è cominciata con il pretesto di raccogliere il parere di un campano doc sulla squisitezza delle mozzarelle offerte dalla Biennale, tra le tante varie leccornie del pranzo in terrazza. 

 Scoprire d’essersi sbagliati sul formaggio è stato solo l’inizio. Quelle mozzarelle che parevano buonissime ai giornalisti sbarcati da Milano o dal Nord, non erano tali al palato di chi di latticini di bufala buonissimi ne ha mangiati fin da bambino.

 E anche la retorica delle belle attività di ricreazione e recupero dietro le sbarre non ha retto poi tanto, di fronte alla morale del racconto della vita di un uomo condannato, che tra l’altro, padre di una figlia ormai maggiorenne con cui non ha quasi mai vissuto, ora spera soltanto nella generosità di un cognato per re-inserirsi in qualche attività lavorativa e non sentirsi più un mantenuto della moglie.

 ‘Diciamoci la verità, aldilà di tutte le chiacchiere: la galera è solo uno schifo, proprio ‘no schifo, soltanto schifo. E dentro non sei più un uomo ma nient'altro che schifo anche tu’. Più o meno è questa l’ultima frase prima dei saluti di rito.

  Alla fine, nonostante l’assaggio di due diverse golosissime torte, è stato impossibile non uscire con un certo amaro in bocca.

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