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Quel 'suono dentro' della grande letteratura che è così rigenerante: uno spettacolo di Adam Rapp riproposto da Serena Sinigaglia

Alessio Zirulia e Marina Sorrenti nell'allestimento originale di 'The Sound Inside'

 Funziona con una certa armonia l’asse teatrale milanese di porta Romana, non a caso caratterizzato da una forte presenza di leader donne e da un’attenzione spiccata al femminile anche nelle programmazioni. Il Teatro Franco Parenti di Andrèe Ruth Shammah, del resto, è ormai un’istituzione bene inserita nella città e sempre aperta alle realtà culturali affini, a cominciare dal Piccolo, in cui si è formata, ai tempi d’oro di Giorgio Strehler, la stessa direttrice regista. Ultimamente, però, si fa notare una collaborazione fruttuosa con il vicino Teatro Carcano, affidato a Lella Costa.

 Parlando dal punto di vista degli spettatori appassionati, però, il primo nome di donna forte della scena teatrale milanese che viene in mente è quello della fondatrice dell’Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca A.T.I.R., Serena Sinigaglia. Milanese, classe 1973, con una storia importante da protagonista e animatrice della vita culturale della città, è riuscita negli anni ad affinare al meglio le sue doti anche di regista, al punto che si può considerare ormai la figura più rappresentativa.

Milano è una città che, grazie a Dio, non si è fermata ai mostri sacri del dopoguerra, ovvero agli Strehler e Dario Fo, per dire dei due nomi di maggior prestigio internazionale. Ecco, l’apertura a un canone teatrale nuovo di stampo europeo, con personaggi chiave di riferimento come Peter Brook, è sicuramente una delle caratteristiche più notevoli delle produzioni firmate da Serena Sinigaglia.

 Che poi non sia più incardinata in un preciso spazio, come era il suo Teatro Ringhiera, ma innervi le programmazioni di altre sale, e prima di tutto del Carcano dove l’ha voluta accanto a sé Lella Costa in un ruolo di direzione, è una questione che riguarda i lati oscuri della nuova Milano da bere, l’assurdità dei meccanismi di finanziamento pubblico dello spettacolo, le solite squallide dinamiche della lottizzazione e delle consorterie del potere culturale, che sono peraltro decisamente maschiliste (ma il discorso porterebbe lontano, molto lontano dall’asse del sestriere di Porta Romana).

 E perciò va al merito del Teatro Parenti, in questa interessante prima stagione del dopo maturità (ha festeggiato i 50 anni di attività all’inizio del 2023), aver inserito il recupero di una bella proposta che la Sinigaglia aveva presentato già al Carcano, ’The Sound Inside’, da una fortunata pièce di qualche anno fa del prolifico e pluripremiato autore di Chicago Adam Rapp. Lo spettacolo è tornato in scena per 6 rappresentazioni nella raffinata Sala A di via Pier Lombardo, proprio nei giorni della pubblicizzata prima milanese di ‘Boston Marriage’, da David Mamet, in Sala Grande.

 ’The Sound Inside’, nella pregevole traduzione italiana di Monica Capuani, è in fondo uno spettacolo di disarmante semplicità, come viene annunciato nella stessa scheda ufficiale: è la storia di una professoressa di scrittura creativa, Bella (meravigliosamente interpretata da un’attrice di provate capacità come Marina Sorrenti), ‘una donna di mezz’età che vive da sola in compagnia dei suoi libri. Ed è molto malata. Christopher è un suo studente. Un ragazzo particolare, molto diverso dai suoi compagni di corso’.

 Lui è decisamente un tipo irrequieto, ruolo non facile per il giovane attore genovese Alessio Zirulia (un nome da tenere d’occhio: Sinigaglia lo ha già premiato con un Hystrio). ‘Entrambi’, cioè Bella e il suo allievo, ‘amano la letteratura. Amano l’energia vitale che si sprigiona dalle parole come se la ‘finzione’ potesse essere più vera del vero, più reale del reale. Un filo misterioso li unisce. Un’attrazione. La loro relazione sfiora quella amorosa, per poi toccare quella filiale fino a diventare quasi fraterna. Le loro anime si incontrano. E la vita di Bella si rigenera. Chi è veramente Christopher? Esiste o è frutto della fervida immaginazione di Bella?’

 Fin qui la scheda, e sarebbe un peccato spoilerare altri dettagli, esattamente come aggiungere qualcosa al commento in didascalia firmato a suo tempo dalla regista stessa: ‘In un’epoca brutale e violenta, in uno smarrimento che ci lascia senza fiato, le gambe intorpidite, i pensieri immobili, questo testo è uno spazio sospeso, di quiete, di conforto e di calore che sprigiona luce, sprigiona speranza, sprigiona gioia’.

 Disarmante semplicità, si è detto, e in effetti lo è anche l’allestimento che dosa con grande sobrietà la teatralizzazione di un racconto già di per sé perfetto, alquanto drammatico, seppure prima di tutto letterario e da questo punto di vista decisamente raffinato.

Non si può certo nascondere, infatti, che ‘The Sound Inside’ sia uno spettacolo particolarmente apprezzabile da un lettore forte, da chi conosce e frequenta non solo Dostoevskij ma anche il grande romanzo americano contemporaneo.   

 Sinigaglia, come sa ben fare, riesce anche questa volta a riprodurre comunque la magia del teatro, con classe e sottrazione, ovvero con pochi mezzi e poco esibiti, senza presunzioni pseudo-artistiche, appunto con disarmante semplicità: con la sapiente direzione degli attori, con un elemento scenico non macchinoso, con la prevalenza di un bianco trasognato, con quasi nessun effetto aldilà di quattro coriandoli che scendono, con una musica soltanto - e non sono canzonette! 

 Gli spettatori, una cinquantina nella piccola sala A, alla seconda rappresentazione di questa ripresa di ‘The Sound Inside’, in un orario atipico come le 19.15, sono di certo meno reattivi dei quattrocento e rotti che si sono assiepati in Sala Grande per il matrimonio bostoniano tra donne che va in pezzi, di David Mamet.

E però, uscire con questo ‘suono dentro’ di Rapp, riconcilia con il teatro, con la cultura, con la vita stessa. Come commentavano alcuni ritirando i cappotti dal guardaroba, è davvero rigenerante come prometteva la locandina.

Un piccolo miracolo, lo stesso che alla fine ci fa vivere con grande delicatezza Marina Sorrenti, Bella di bianco vestita mentre le cadono i libri di mano per la gioia.

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