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Rohtko, l'inversione delle consonanti e il fulgore della dissonanza di Twarkowski: sicuri di poterlo perdere così?

Una scena di 'Rotkho' (foto di Artūrs Pavlovs)

 Tic tac, tic tac, tic tac: spettatori appassionati e consapevoli, il vostro tempo sta per scadere. Meno due, meno uno…

Avete due giorni di tempo, due, per cogliere la straordinaria occasione di ‘Rohtko’ di Łukasz Twarkowski, il 17 e il 18 maggio, al Teatro Strehler. Se poi volete farvi un’idea più precisa di che tipo sia e di che cosa pensi l’autore e regista polacco che firma questo piccolo capolavoro, sabato 18 maggio il festival Presente Indicativo l’ha ingaggiato anche per una breve master-class e poi per un incontro con il pubblico nel tardo pomeriggio.

 Tic tac, tic tac, tic tac: con il visionario Twarkowski, un polacco di nemmeno quarant’anni, di solida formazione teatrale ma di straordinarie capacità innovative, si entra nel vero e proprio territorio di un nuovo teatro. Verrebbe da dire, andando per categorie, nel post-teatro. Siamo cioè al passo dopo il post-drammatico, in un contesto di linguaggio pienamente nuovo, nel senso di uno spettacolo che utilizza la magia del cinema e delle nuove tecnologie dell’immagine insieme con gli esiti dell’arte perfomativa, dell’happening stile rave-party e del tradizionale teatro di prosa, con un dosaggio sapiente e perfetto. 

 A trascinare l’ovazione del pubblico alla prima milanese di ‘Rohtko’ sono stati, non a caso, i numerosi giovani presenti in sala. Per dirla con un trio di nemmeno trentenni intercettati all’uscita, tutti appassionati di cinema, fotografia e nuovi linguaggi digitali: ‘beh, se questo fosse il teatro, ci verremmo sempre’.

(Per associazione di temi e per ricerca di un nuovo linguaggio, anche se su tutt’altra scala produttiva e con un altro radicamento culturale, dopo ‘Rohtko’ viene in mente l’esperienza recente degli Agrupación Señor Serrano con ‘Un’Isla’, il nuovo spettacolo presentato al festival di casa, a Barcellona, e ripreso da FOG a Milano, sulla sfida tra arte e intelligenza artificiale, ma è presto per lasciar maturare idee e confronti).

 Tic tac, tic tac, tic tac. Non si può assolutamente rovinare neanche un minuto dei 235 complessivi - con 20' di intervallo -, in lingua lettone, inglese, polacca e cinese, con sovratitoli in italiano e inglese, di questa avvolgente creazione che inchioda l’appassionato alla poltrona. Durata e articolazione complesse sì, ma si tratta pur sempre di una storia semplice, che parte da un clamoroso falso Rothko, dipinto da un cinese a New York, per diventare un racconto sull’arte e sulla società di oggi, tanto emozionante quanto così puntuale.

 Pur costruendo meccanismi di spettacolo straordinariamente ‘illusionistici’, con una capacità davvero unica di far girare la giostra del suo stesso racconto, Twarkowski non crea un gioco fine a se stesso, ma perfettamente funzionale alla critica radicale del mondo dell’arte e del sistema del dio denaro. Viene facile chiudere con 'Bertolt Brecht è vivo e lotta insieme a noi', qui magari pure Walter Benjamin ci gioca ancora a scacchi mentre butta giù quattro righe di presentazione per il prossimo allestimento…

 Tic tac, tic tac, tic tac. 'Milano Porta Europa', nonostante sia proprio un secondo titolo tanto ambizioso quanto 'Presente Indicativo' davanti, con questo ‘Rohtko’ diventa invece un concetto credibile. In questo spettacolo che segna l’affermazione del post-teatro di Twarkowski spira un vento davvero europeo, di un'Europa che non è solo la nostra turbocapitalista di stampo anglosassone e nemmeno l'Unione di oggi a traino franco-tedesco, ma è anche l'esito di un'altra storia.

Come capofila e promotore c’è il teatro Dailes di Riga, Lettonia, realtà di prim’ordine dell’area baltica (a suo tempo plasmata da un maestro d’Oltrecortina come Eduards Smiļģis) e oggi sede di confine del circuito ETC, che riunisce molti importanti teatri pubblici europei. Ma in ‘Rohtko’, con il teatro co-prodotture JK Opole, uno dei più grandi palcoscenici continentali, c’è anche tanto della Polonia dove Twarkowski è nato e ha lavorato. Non va dimenticato che è stato allievo e aiuto regista di Krystian Lupa, l'ultimo maestro riconosciuto di una tradizione teatrale fra le più importanti e innovative (da Wajda a Grotowskii e Kantor). 

 Gran parte dei professionisti che dietro le quinte sono determinanti per queste rappresentazioni kolossal di Twarkowski, dall’autrice e drammaturga polacca Anka Herbut all’artista visivo d’origine francese Fabien Lédé che firma le scene, lavorano insieme anche in Germania per il Münchner Kammerspiele di Monaco di Baviera, dove hanno appena preparato, alla fine 2023, il nuovo ‘WoW - World on Wirecard', una sorta di thriller finanziario legato a un grande scandalo recente.

Twarkowski e complici eccellenti, peraltro, dopo ‘Rohtko’, avevano fatto un’altra opera sull’arte e la verità, una sorta di rave-party lungo 5 ore, intitolato ‘Respublika’, con produttore capofila il teatro nazionale della Lituania. ‘Respublika’ è ancora in tournée, e a metà giugno sarà in scena ad Atene per la fondazione Onassis. L'istituzione culturale greca sarà poi promotrice di un nuovo progetto a cui il regista e i suoi collaboratori stanno già lavorando da mesi.

Dunque, il caso dell’apolide polacco Twarkowski è aperto su scala europea, la sequenza di ‘Rohtko’, ‘Respublika’ e ‘WoW’ fa veramente impressione. Bisognerà studiare e riparlarne. 

 Tic tac, tic tac, tic tac. Alla prima rappresentazione milanese di ‘Rohtko’ si potevano notare in sala una quantità di addetti ai lavori impressionante, con vari direttori, presidenti, fondatori, registi, produttori, attori, autori e critici di complemento: chissà che cosa avranno pensato, a parte Umberto Angelini che a FOG avrebbe fatto volentieri il colpaccio e magari si prenderebbe un Twarkowski pure per il dopo Castellucci in Triennale Teatro.

Avrà provato un più che legittimo orgoglio il direttore del Piccolo e del festival Claudio Longhi, almeno per aver offerto al pubblico degli appassionati quest’esperienza straordinaria. Seduto al centro della fila 9, con insolita sciarpa patchwork color sabbia, dalla sua collezione inesauribile di écharpes assorties all’abito, ha seguito con l’aplomb abituale il crescendo di consensi finale, dal primo giro di applausi alla standing ovation e alle urla entusiaste.

Scrutava di soppiatto, forse un po’ preoccupato, i volti di alcuni degli amici e colleghi intorno, sbiancati più ancora della sua sciarpa da una tale lezione di teatro. Un’opera come ‘Rohtko’, in effetti, oggi, soprattutto nel sistema italiano della mediocrità e dell’amichettismo, appare davvero siderale. 

 All’uscita Longhi s’è affacciato quasi per ultimo sul sagrato dello Strehler, e per un attimo è rimasto solo a guardare verso la notte, nell’aria tersa del dopo temporale. Quel giovane studente che fu, alle prese con una tesi di laurea sul magistrale ‘Orlando Furioso’ del ’69 di Luca Ronconi, in fondo sa bene quanto il teatro, per restare vivo, abbia bisogno di salti in avanti. Cinquant'anni e rotti fa, come oggi più che mai.

Di passaggi da un linguaggio all'altro, di straordinarie immaginifiche costruzioni, di nuovi maestri di riferimento, di risposte insieme aggiornate e pure radicalmente dissonanti rispetto all'evoluzione della società: soltanto così può sopravvivere l'arte teatrale.

Il tempo fuori muta sempre con quel vento dell'Est fresco e umido, che porta anche nebbia e precipitazioni, e in questo bel vento 'twarkowskiano' soffia, eccome, il cambiamento.

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