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20.11.2024
‘Il Capitale' di Kepler-452, lo spettacolo che ancora non abbiamo visto e che è sempre più attuale, come si poteva notare nelle repliche a Torino
‘Un’altra Terra è davvero possibile’, scandisce il titolo-slogan del commento forse più sognante, tra i tanti seguiti alla scoperta di Kepler452b, l’eso-pianeta più simile al nostro.
Nonostante siano state già scovate 6 o 7 nuove stelle che potrebbero assomigliare alla Terra, tra le ormai 4mila che la Nasa sostiene di aver mappato con il telescopio che porta il cognome di Giovanni Keplero, sembra proprio che non si sia ancora spento l’entusiasmo degli astronomi per questo 452.
Si vola alto, necessariamente, parlando del caso specifico della compagnia bolognese che ha scelto come nome l’utopistico Kepler-452: il promettente sogno di un altro teatro possibile si avvera in quella che appare la grande ripresa de ‘Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto’.
Lo spettacolo cavallo di battaglia di Kepler-452, il più noto e il più citato (atteso addirittura a Berlino, il 20 aprile, per il Festival Internazionale del New Drama, FIND, con 3 repliche al prestigioso Theater Schaubühne), macina date su date, insieme con le altre proposte, compresa l’ultimissima di ‘Album’.
In verità, ‘Il Capitale’, che ha debuttato all’Arena del Sole nell’autunno del ’22, resta pur sempre ‘uno spettacolo che ancora non abbiamo visto’, e non solo in gran parte dei teatri istituzionali, persi nella programmatica ‘distrazione’ (tra virgolette perché si può intendere anche come scopo d’intrattenimento facile, su cui sono basati molti cartelloni).
Aldilà persino della cronaca della crisi, tuttora aperta, alla GKN automotive di Campi Bisenzio, che è il tema del racconto, l’attualità politica e sociale sempre urgente di questo spettacolo si notava bene tra il pubblico di una Torino a rischio di diventare ancor più post-industriale, nella tre giorni di rappresentazioni di metà febbraio al TPE Teatro Astra.
Forse giusto all’appuntamento del 9 marzo nel Teatro degli Animosi di Carrara, si potrà percepire una prossimità maggiore, geografica e politica, di quella vicinanza stretta, con relativa tensione nell’ascolto, che si poteva tagliare a fette tra gli spettatori della fu capitale dell’automobile italiana.
Dopo lo spettacolo, alla Birreria del Terzo Tempo (dove sedevano a gustare l’amaro piacevole del luppolo alcuni spettatori giovani e pure uno o due più anziani, mentre in una tavolata si rifocillavano insieme operai e kepleriani), si poteva apprendere che il pavimento dell’Astra era parso ai protagonisti tanto, troppo bianco, e che le regole di sicurezza del teatro, al momento clou, non hanno consentito di produrre con l’intensità abituale l’effetto nebbia.
Come se fosse stato quasi senza tante possibilità d’infingimenti, un po’ dritto-per-dritto, il risultato, questo sì amaro per davvero, da rigetto, di questo racconto di realtà, di un reale per giunta così vicino al pubblico, con tanto di un'alterco retorico con se stesso - il ‘monologo dell’odio’ - che l’autore e attore Nicola Borghesi interpreta quasi per giustificarsi e invece fa proprio sentire in colpa tutti, spettatori teatrali borghesi in primis, come a specchio.
Tra parentesi, questo passaggio di presa di coscienza, anche proprio sul ruolo del teatro, colpisce già per la costruzione, resa da una sorta di primissimo piano del monologante, ottenuto grazie alla sapienza di un professionista di prim’ordine delle luci e dello spazio scenico, Vincent Longuemare.
Andrebbe riletto e meditato questo monologo, ficcante come il finale sulla lotta-spiraglio degli operai della GKN che socchiude un’apertura possibile, di nuovo, al movimento anticapitalista. Per fortuna che i testi originali sono raccolti in un piccolo prezioso volume edito da Luca Sossella, ‘Il Capitale’ di Kepker-452, che contiene anche il saggio dello studioso marxiano che ha fatto da consulente agli autori, Giovanni Zanotti.
Tornando alla cronaca della tre giorni a Torino, le prime file di spettatori hanno cominciato a sciogliersi da una sabauda rigidità attendista, esprimendosi con qualche mormorio, soltanto quando, nel racconto sull’interminabile occupazione di questa fabbrica di semiassi a una ventina di chilometri dal centro di Firenze, è comparsa la prima citazione storica sulla Fiat.
E’ stata solo una citazione, pronunciata dal leader del collettivo oggi simbolo delle lotte operaie dei metalmeccanici, ma ha colpito nel segno: del resto, era l’evocazione di una pagina traumatica come la ‘marcia dei quarantamila’, evento clou che ha aperto gli anni ’80 e l’offensiva ‘contro-rivoluzionaria’ del Capitale, per dirla alla Marx.
Già sulla carta era quindi una prima rappresentazione difficile, quella di venerdì 16 febbraio, tra l’altro il pubblico del teatro Astra - si sa - è decisamente ‘alto’, da un punto di vista prima di tutto culturale, se non proprio teatrale (in questa sala viene ospitato un festival aperto al nuovo come quello delle Colline torinesi).
E si è visto anche alla fine, nei ripetuti giri d’applausi (1) per il protagonista e i quattro bravissimi operai-attori che firmano in locandina con Enrico Baraldi e Nicola Borghesi lo spettacolo stesso (sono Tiziana De Biasio, Francesco Iorio, Dario Salvetti, Massimo Cortini/Mario Berardo Iacobelli/Alessandro Tapinassi, del Collettivo di fabbrica lavoratori GKN).
A un certo punto, forse un po’ per chiuderla lì, uno dei quattro con la tuta della GKN ha cominciato ad alzare il pugno chiuso e quasi subito lo hanno agitato tutti gli altri, e infine Borghesi, sorridenti e compatti, per ringraziare così il pubblico dell’ovazione.
Soltanto uno spettatore sui cinquant’anni, seduto a metà platea, ha deciso di rispondere a tono al gesto, ha levato il pugno e si è guardato intorno brontolando ad alta voce: ‘E dai, su, mostratelo anche voi, coraggio, quel maledetto pugno chiuso…Noooo? Ma vi vergognate o vi siete proprio dimenticati di come si fa?’
P.S.: Dei nostri cari compagni di Kepler-452 (vedi dedica a seguire di Nicola Borghesi) e del modo ammirevole con cui fanno rivivere il teatro di realtà, sarà necessario tornare a parlare molto presto, almeno dopo aver visto anche una ripresa del singolare progetto di ‘Non tre sorelle’, con attrici russe e ucraine insieme, firmato dal solo Enrico Baraldi.
NOTA SU KHALIL RABAH E IL SUO MUSEO PALESTINESE
*(1) Si ringrazia il delegato sindacale della GKN anche perché, dopo l’accenno nel monologo di chiusura alle stragi nella striscia di Gaza, si è ripresentato all’ultima uscita per gli applausi ostentando la kefia al collo. E, come di riflesso, la solita vicina intelligente, che non manca quasi mai, ha segnalato ‘en passant’ che era stata prorogata al 25 febbraio la chiusura della mostra-evento di Khalil Rabah, alla Fondazione Merz di Torino.
Parliamo nientemeno che del ‘Palestinian Museum of Natural History and Humankind (PMNHH)’, un progetto artistico e utopistico insieme, sviluppato dal 2003 come l’istituzione nomade di un museo palestinese.
Con questo lavoro Khalil Rabah alza il livello di linguaggio della denuncia storico-politica a un grado davvero notevole, senza nemmeno bisogno di dichiararlo, regalando al suo popolo un’altra impossibile identità, meta-artistica.
C’è ancora una settimana per andare a vedere il PNMHH, in attesa che qualche altra città italiana voglia riproporre il lavoro di questo notevolissimo artista palestinese, che è nato a Gerusalemme nel ’51 e vive a Ramallah.