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Scrutando tra i 'Fili dell'orizzonte' del Piccolo 2024/25, ecco i grandi spettacoli da non perdere (e pure un accordo notarile sullo sfondo)

Dettaglio dall'Arlecchino strehleriano che torna in scena dopo un anno di pausa (foto Masiar Pasquali)

 ‘Solo Dio conosce tutte le combinazioni dell’esistenza, ma solo a noi spetta di scegliere la nostra combinazione fra tutte quelle possibili’

 Questa frase di Antonio Tabucchi, dal racconto ‘Il filo dell’orizzonte’, che è stata posta in esergo alla presentazione della stagione 2024/25 del Piccolo Teatro, non ha una valenza puramente strumentale o simbolica.

Anche soltanto per alcuni dettagli che si potevano cogliere a Milano, in via Rovello, nella tarda mattinata di un quasi afoso 19 giugno, a margine della ‘lectio magistralis’ mascherata da conferenza stampa, dal Professor Direttore Claudio Longhi

 Quale ‘combinazione’ propria hanno dunque scelto, al Piccolo, fra le tante possibili? La risposta più esauriente richiederebbe un esercizio particolarmente attivo del canonico diritto di cronaca. Ma è decisamente meglio partire dai fatti, ovvero dai contenuti. 

 Il dovere di cronaca impone infatti di cominciare constatando l’indubbio spessore delle scelte. Forse è il miglior cartellone degli ultimi anni, almeno parlandone ‘a caldo’, non solo dall’effettivo punto di vista temporale, ma proprio anche applicando il criterio guida della passione per le emozioni artistiche. 

 Occhio croce, su 65 spettacoli di una ricchissima offerta, si possono contare una ventina di occasioni notevoli, di titoli e di autori, particolarmente quelli internazionali, per vedere i quali un autentico ‘dramaholico’ affronterebbe senza problemi anche un viaggio fuori confine. 

 Ha detto bene, a fine conferenza, ‘la voce della verità’ Giulia Lazzarini, giustamente festeggiata ormai quasi ad ogni occasione solenne dal ‘suo’ teatro (è in pratica l’ultima superstite, a 90 anni rotti, dell’epoca dei fondatori Grassi-Strehler): ‘il programma è molto interessante, ci sono vari spettacoli da non mancare, certo, per carità!, non tutto…’

Chiaramente l’indimenticabile Ariel volante de ‘La tempesta’ strehleriana intendeva riferirsi alla quantità per lei improba di offerte, ma forzando la battuta s’intende il vero.

 Venendo dunque soltanto ai punti d’eccellenza, non si può non segnalare per primo il nuovo spettacolo di Christoph Marthaler, regista, musicista e intellettuale di prim’ordine: s’intitola ‘Il Vertice’, nasce da una coproduzione internazionale di alto livello, con attori di varie nazionalità e lingue diverse, e debutterà proprio al Piccolo di Milano.

 Così, se quest’anno è stato il Teatro Della Pergola di Firenze a far sfigurare tutte le istituzioni più ricche e importanti con il varo dello splendido ‘Pessoa’ di Bob Wilson, di certo questo nuovo Marthaler enigmatico e visionario, in prima assoluta, consente al Piccolo di tornare protagonista in quel circuito d’altissimo rango. 

 E, tanto per citare un secondo colpo del genere, sarà in partita con il Piccolo anche il collettivo fiammingo FC Bergman che, giusto l’anno scorso ha vinto il Leone d’Argento alla Biennale a Venezia e ripresentato l’incantevole capolavoro ‘Het land Nod’. Stavolta, con il nuovo ‘Works and Days’, gli FC Bergman si sono messi a costruire intorno a ‘Le opere e i giorni’ di Esiodo.

 E il bello è che Marthaler e FC Bergma praticano, seppur in modi diversi, un teatro decisamente complesso e contemporaneo, sul piano proprio del linguaggio, tanto quanto tutte le altre proposte internazionali selezionate da Longhi. Per intenderci, l’asticella culturale è altissima, il risultato spettacolare perfetto, con uno spettro di possibilità di letture molto ampio.

Un'ultima nota va alla presenza anche di Caroline Guiela Nguyen, autrice e regista francese di origini vietnamite associata al Piccolo, che presenterà il suo nuovo ‘Lacrima’, su un tema come lo sfruttamento schiavistico del lavoro nel mondo della moda e del lusso, che è stato addirittura al centro delle cronache giudiziarie di recente e a Milano.  

 Al confronto impossibile con la levatura internazionale di tante proposte, si nota il canonico bicchiere mezzo vuoto, per essere generosi, riguardo all'elenco dei titoli del teatro italiano.

Meglio limitarsi al 'mezzo pieno', ossia, senza volere far torto a nessuno, stringendo al massimo, per guardare almeno le proposte che sulla carta non sfigurano accanto a quelle dei Marthaler, FC Bergman e così via.

Ed ecco che il Piccolo, per fortuna, programma alcuni nuovi spettacoli dei migliori registi italiani, riconosciuti come tali anche fuori dai nostri confini, a cominciare da Antonio Latella, presente con i suoi due nuovi ‘Zorro’ e ‘Wonder Woman’, scritti con Federico Bellini per il teatro tedesco (grazie a Dio, sembra rimanere a riposo l’alter ego pop, il Latella2 dei grandi incassi con gli attoroni). 

 Un altro protagonista storico del nostro teatro d’arte e di ricerca che farà tappa al Piccolo è Pippo Delbono, con il suo nuovo ‘Risveglio’ che sembra una sorta di seconda parte, sul piano dei contenuti e delle emozioni, della commovente opera post-Covid dedicata all’Amore. 

 Un discorso a parte, in positivo, lo meriterà di certo anche ‘Tragùdia’ di Alessandro Serra, e meno male che Longhi se l’è aggiudicato subito dopo Bologna, che con ERT co-produce il nuovo atteso lavoro di un personaggio tra più interessanti e atipici della scena, estraneo alle solite camarille ma ormai considerato, soprattutto in giro per il mondo, un erede diretto dei veri maestri del ‘teatro povero’. 

Saltando alle generazioni più vicine, fa piacere notare ancora la presenza di due dei migliori ‘latelliani’ delle nuove generazioni, come Leonardo Lidi, con ‘Il Giardino dei ciliegi’ e il trittico cechoviano, e Liv Ferracchiati, stavolta con due riprese di produzioni d’altri teatri.

Per la cronaca, non c’è in cartellone nessun altro di quelli che gli appassionati considerano le vere e proprie promesse del teatro italiano, ovvero i giovani ai quali converrebbe dare spazio per rilanciare la nostra decaduta scena. Certo, magari alcuni più seri s'impongono di stare fuori dalle istituzioni borghesi e polverose, ma è più facile che non siano stati nemmeno mai contattati.  

  Quanto all’inesorabile presenza dei registi-direttori dei teatri nazionali con i propri spettacoli, nessuno esaltante, nessuno indimenticabile, piuttosto che dei vari opinionisti della Repubblica in servizio permanente effettivo, o delle varie rifritture con divi e divine o sedicenti tali, di decine di produzioni e di titoli che magari incontrano i gusti del classico vecchio pubblico da Piccolo teatro, meglio non entrare nel merito.

Ci sono però anche colpi d’ala potenzialmente di grande interesse, come per esempio il ritorno di due figure di peso del teatro civile, Davide Enia e Marco Paolini.

Soprattutto, con notevole attitudine commerciale, Longhi ha scelto di fare anche tante concessioni al pubblico e al bilancio, come le riprese di vari successi del Piccolo stesso, compresi il suo ‘Ho paura torero’ e ‘Anatomia di un suicidio’, che del resto erano stati accompagnati anche dalle celebrazioni della claque e dei corifei del sistema.

'Lacrima' di Caroline Guiela Nguyen, grande spettacolo contro la schiavitù nell'industria della moda (foto di scena di Jean Louis Fernandez)


E veniamo dunque all'esercizio del diritto di cronaca. Si è già notato di un Longhi particolarmente abile, se non proprio disinvolto, nei sapienti dosaggi di alto e basso, di nuovo e di vecchio, di arte e di botteghino. Ma non è tutto qui.

Come nell’insolito look azzurro chiaro, con inevitabile sciarpa coordinata quasi invisibile sotto la giacca, potrebbe essere addirittura un nuovo Longhi quello che si è presentato. Di certo è un nuovo Piccolo di Longhi quello che, nel bene e nel male, s’intravede tra ‘I fili dell’orizzonte’, ovvero nella composizione delle proposte per la nuova stagione.

 Per capire dunque il senso della ‘combinazione’ scelta, bisogna però tornare all’inizio del rito della presentazione, e poi saltare velocemente agli applausi finali, soprattutto alle reazioni della fila centrale degli invitati.

 In apertura del rito della conferenza stampa, si è detto ‘emozionato’ il presidente Piergaetano Marchetti, al suo primo varo ufficiale di un cartellone, e non si è limitato a fare gli onori di casa, affatto, ma ha lasciato intendere di considerare addirittura ‘storica’ questa prossima stagione.

E’ un notaio con lo studio più prestigioso della città, Marchetti, e sa pesare le parole come pochi. Gode della fiducia del gotha italiano, per intero, di sinistra e di centro e di destra: tra le sue mani, o del figlio Carlo che lo affianca, sono passate le eredità sia di Umberto Eco sia di Silvio Berlusconi, per dire di due personalità e di due famiglie che difficilmente si sarebbero mai incontrate.

 Ecco dunque che Marchetti ha voluto poi specificare - appunto, non per caso - che l’importanza delle scelte del cartellone 2024-25 si univa alla novità di un taglio ‘non certo da pensiero unico’. Tant’è che il programma, dopo le approfondite analisi e discussione, era stato ‘varato dal consiglio d’amministrazione all’unanimità’, insieme con l’approvazione del bilancio.

 A ruota, ha preso la parola l’assessore alla Cultura della Regione Lombardia, una carica adesso è nelle disponibilità di Fratelli d’Italia, con Francesca Caruso, e che al giro precedente era attribuita a un esponente della Lega che animò la rivolta contro la nomina di Longhi alla direzione.

L’avvocato Caruso viene introdotta a parlare da un Marchetti sinceramente complimentoso, ‘per il contributo così generoso e in particolare per una nuova iniziativa della Regione che porterà il Piccolo in giro per la Lombardia’… 

 E a questo punto già si potrebbe cominciare a evincere che qualcosa si è mosso, politicamente, o si sta muovendo. In effetti poi il discorsetto di Caruso è tutto un ‘bene, bravi e grazie’, con tanto orgoglio per aver varato ‘il nuovo progetto comune sul teatro fuori porta’. Sic.

 Fast forward al momento di chiudere baracca e burattini, del resto la conferenza stampa si svolge con la scenografia di una Tempesta di De Filippo rifatta dalla Compagnia Colla sullo sfondo.

Dopo l’oretta di litanie di Longhi sulla molteplicità e le complessità del presente e tutta quella marea di nomi, di titoli, di citazioni, di celebrazioni, con uso di paroloni decisamente più sobrio del solito, e anche dopo il siparietto della Lazzarini, è il momento di ringraziare ‘tutte e tutti’ e soprattutto il direttore stesso. 

 E’ finita, i presenti cominciano ad alzarsi mentre parte un bell’applauso, certo meno fragoroso di quelli dedicati alle maestranze del teatro, evocate dall'accorato pensiero di un Longhi new wave in veste democratica, o alla vecchia Ariel strehleriana.

Partecipano ai battimani per il Professor Direttore, mostrandosi convinti non solo l’assessore Caruso ma anche il consigliere d’amministrazione Geronimo La Russa, che si era discretamente seduto in fila centrale.

Sorpresa, anche al Piccolo ‘l’Italia s’è desta’, come si legge sul collo delle nuove magliette azzurre. Un po' meno entusiasta sembra, proprio accanto La Russa, il collega Massimiliano Finazzer Flory, ex assessore della giunta berlusconiana Moratti 2, chiacchierato da mesi come aspirante direttore del Piccolo.

 Sempre per esercitare il diritto di cronaca, La Russa e Caruso eviteranno poi il rinfresco allestito nel Chiostro Nina Vinchi ma si fermeranno a parlare insieme tranquilli - sono pur sempre anche colleghi di studio legale - proprio davanti all’ingresso di via Rovello.

Sì, proprio lì dove nel novembre scorso s’era tenuta la manifestazione convocata dall'Anpi degli spettatori contro la nomina del malcapitato Geronimo ai vertici del Piccolo.

Lì, a due passi dalla Lapide collettiva dei Martiri antifascisti che ricorda come questo signorile palazzo, poi ristrutturato e adattato a teatro della città, era stato la sede del comando della Muti e un luogo di tortura tra i più sinistri.

 Alla storia celebrata da quella stessa lapide, peraltro, si era ispirato anche Pascal Rambert per scrivere la sincera tirata antifascista del suo Arlecchino che era il fulcro del bel ‘Durante’, seconda parte di un trittico di cui, guarda caso, si è persa notizia.

Sarà magari per via di un semplice problema pratico, o chissà: intanto del fu annunciato ‘Dopo’ e di Rambert autore di un’esclusiva trilogia al Piccolo, non c’è proprio traccia nel cartellone 2024/25.

 E qui, con un rapido rewind, si riparte da quella battuta del Presidente, dalla sottolineatura di un programma ‘non certo da pensiero unico’ ma alquanto plurale.

Se si va in cerca di qualche pezza d’appoggio, ovvero di quel che per esempio a Caruso e a La Russa potrebbe non dispiacere affatto, si può cominciare con i due-tre fantomatici spettacoli del nuovo programma ‘Teatro fuori porta’ patrocinato dalla Regione, già annunciato come oggetto di una prossima conferenza stampa.

 Volendo si notano altri cavalli di battaglia cari alla destra al potere, a partire dalla memoria delle foibe, con ‘il musical civile’ - già più volte rappresentato - del cantautore Simone Cristicchi con coro di bimbi in scena, 'Magazzino 18'.

Come un Marthaler o un Delbono qualunque, il Cristicchi anti-foibato avrà l'onore della grande sala intitolata al triestino Giorgio Strehler, che fu nipote di un impresario teatrale che un giorno sì e l’altro pure veniva sabotato dai fascisti, e fu un regista e autore straordinario che pur ancora nel suo ‘Galileo’ brechtiano riuscì a togliere ogni riferimento contro il cosiddetto ‘comunismo reale’.

 Della sparizione di Rambert s’è detto, ma non ancora della presenza, tra l’evocazione continua dei fantasmi del palcoscenico di ieri, di un’insolita celebrazione dell’unico artista del teatro italiano che non rinnegava nemmeno il suo passato di repubblichino, Giorgio Albertazzi, che a dire il vero amava poi definirsi un anarchico. 

 Ah, ci sarebbero pure un bel lavoro su Ezra Pound, ma - per carità! - se ne parla soltanto come di un grande poeta e animatore culturale, anche in Italia, che poi fosse un nostalgico tradizionalista, seguace di culti esoterici, amen.

Non è che adesso ci si possa mettere a maliziare su tutto, pure sul Pirandello tanto caro al ministro Gennaro Sangiuliano, o sull’affettuosa rievocazione - a Milano, al Piccolo Teatro - dell’Albertone Sordi nazionale… 

 Fratelli d’Italia, in fondo, si propone dichiaratamente di voler soltanto sradicare l’egemonia comunista dalla cultura, e va bene così: tanto Strehler è morto, Ronconi pure e gli eredi non si sentono tanto bene. Peraltro, di autentici discendenti dei due maestri non c’è manco l’ombra (tra parentesi sembra che quest'anno non passi al Piccolo nemmeno uno spettacolo con Massimo Popolizio, dopo l'inciampo nella sfida con Gor'kij). 

 In tanti comunque, sperano che la direzione di Longhi venga rinnovata ‘all’unanimità’, come Marchetti per primo vorrebbe, quando mette in luce i segnali di apertura e disponibilità programmatiche.

Alla fin fine il Piccolo nella prossima stagione - lo ha ricordato molto bene la vicepresidente della fondazione Cariplo Claudia Sorlini (miglior discorso alla presentazione) - sarà ancora un propulsore straordinario di cultura europea, di formazione dei giovani al teatro e di avvicinamento del teatro alla società.  

 In effetti bisognerebbe affrontare seriamente anche la quota pedagogica del vasto programma, ché sicuramente merita plausi. Peccato che sia un po’ noioso entrare nel dettaglio, e poi non basta un quadernetto intero, come quello che i giornalisti invitati hanno avuto in dono, dentro una regolare tote-bag di stagione, questa volta di un bel verde chiaro. 

 Un colore che allude per definizione alla linfa, alla rinascita, alla nuova vita. Un Verde chiaro che nel template di navigazione sui colori di Wikipedia sta esattamente alla gradazione prima di quella del Verde Arlecchino.

E l’ultima buona notizia è che il ‘Servidor de do padroni’ torna in scena con lo storico allestimento, il protagonista ormai tradizionale Enrico Bonavera e una compagnia di giovani attori diplomati alla Scuola del Piccolo stesso. Più ravvedimento di così…

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