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20.11.2024
'Se per errore chiudo gli occhi e penso a te': note indiscrete a margine del nuovo 'Durante' di Pascal Rambert
Ah, saperlo che cosa ci sia per davvero nella Testa dell’Auteur. Nemmeno due maiuscole sono sufficienti a contenere la persona e l’opera di Pascal Rambert, uno che giusto ‘en passant’ ha voluto ricordare, anche mercoledì 3 aprile, al Chiostro Nina Vinchi di Milano, per la conferenza stampa di presentazione del suo nuovo lavoro per il Piccolo Teatro, di essere un autore già tradotto in 35 lingue diverse e di aver già lavorato, come ‘Metteur en scene’ di se stesso Auteur, nei teatri addirittura di una quarantina di Paesi diversi del Mondo.
35/40 lingue e nazioni, in tutti i continenti, tanto per intendersi. Alla faccia dell’uditorio occasionale, con quei quattro poveri scribacchini italioti, i suoi attori presenti al completo con una pattuglia di consulenti e collaboratori al seguito, ed educatamente in barba pure al direttore-professore-regista Claudio Longhi e alla traduttrice rambertiana di fiducia, Chiara Elefante, attivissima ordinaria universitaria di Traduzione e Interpretazione.
La studiosa a cui è affidato da sempre il compito di riportare in un italiano teatrale, adatto a essere recitato, il consueto flusso ininterrotto di parole che verga l’Auteur, senza mai mettere neanche un segno di punteggiatura, è stata quest’anno trattenuta a Milano, da Bologna o da Forlì, dove lavora, per presenziare attivamente alla conferenza stampa.
L’anno scorso, del resto, per la prima uscita pubblica di Rambert come associato al Piccolo, l’Auteur aveva puntellato le traduzioni simultanee di una normale interprete d’agenzia con un vero e proprio spettacolo di reazioni negative, smorfie e gesti e continue contestazioni. Almeno quest’anno è filato tutto liscio, ci mancherebbe altro.
Con l’Elefante dalle proverbiali grandi orecchie ed empatia, Rambert aveva persino speso la prima volta, a margine di un volume con una sua opera tradotta, l’aggettivo ‘cubista’ con cui da qualche anno presenta i suoi lavori, e lo ha fatto anche nel caso di questo prossimo intitolato ‘Durante’’: è una pièce cubista, non è che si può capire subito quel che succede, ci si arriva tardi…’
Dopo una buona mezz’ora di introduzione all’Opera - di Pascal Rambert s’intende, nel senso di soggetto e oggetto del discorso -, dalla platea arrivano le domandine terra terra sull’opera con la minuscola, ovvero l’imminente spettacolo che sarebbe la seconda parte del trittico originale costruito appositamente per il Piccolo Teatro, e va in scena al Teatro Grassi per un mese di fila, a partire da sabato 6 aprile (avanti, c’è posto).
E così si scopre che è la stessa storia del precedente ‘Prima’, vista soltanto da angolature diverse, esattamente una specie di continuazione, una riproposta, grossomodo, dello stesso racconto delle crudeli dinamiche ‘umane’ e amorose tra gli attori di una compagnia chiamata ad allestire una pièce sulla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello.
Il punto di vista cangiante, peraltro, offre all’Auteur il pretesto per una digressione teorica e programmatica: ‘si può dire che stavolta si tratti di una sorta di ‘théâtre du profil’, nel senso che riflette lo sguardo esatto di chi lo fa il teatro; noi lo vediamo così, di profilo, da dietro le quinte’.
Poco prima di questa teorizzazione inconsueta, in ogni caso, tutto questo trallallà meta-teatrale era stato nobilitato dall’Auteur con una citazione classicissima: ‘Durante’ è il tipo di lavoro che si può sintetizzare nella formula out-off come in Shakespeare’.
Ohibò, chissà perché nessuno aveva mai pensato di paragonare ‘il teatro nel teatro’ del nostro Pascal mondiale al 'teatro/mondo' di quell’arruffone di Billy del Globe della Londra del sedicesimo secolo, con l’insegna-vessillo ‘Totus mundus agit histrionem’.
Volendo - e Longhi o l’Elefante potranno ben indicarlo all’amato Auteur - il ‘fil rouge’ che arriva ai maestri del teatro barocco si può far risalire, secondo Umberto Eco, addirittura a Platone, piuttosto che a un’idea originale del filosofo Giovanni di Salisbury, allievo di Abelardo e dei maestri di Chartres, ‘in un passo - mai individuato dagli studiosi - che partiva dalla riflessione sul ‘Satyricon’ di Petronio’. Sarà per la conferenza stampa di ‘Dopo’, nel 2025.
Intanto, per ‘Durante’, Rambert ha voluto avvertire esplicitamente giornalisti e critici, di non provarci neppure a giudicare questo pezzo del trittico e del suo teatro. Tanto è fuorviante ‘vedere solo un capitolo’ e pensare di poter inquadrare un’Opera complessiva come la sua: ‘scrivo continuamente, per il mondo intero, da anni, e le varie opere si completano l’un l’altra, non sono singoli pezzi che uno può tirare fuori dalla biblioteca e valutare…’. Messaggio ricevuto?
Andando al sodo, quest’anno, rispetto a ‘Prima’, pare di capire che ‘Durante’ dovrebbe scorrere via meglio. Ci sarà un inizio più spettacolare, con la scena di un incidente d’auto: nel video promozionale si sente proprio il rumore del crash seguito dalle note di ‘In ginocchio da te’ di Gianni Morandi.
L’immagine locandina, da test EuroNcap, con un bolide rosso pesantemente incidentato, dovrebbe almeno evitare altre fastidiose reazioni del pubblico, come quegli ‘alza la voce!’ e ‘non si sente!’ che accolsero al debutto il primo monologo introspettivo che era stato affidato ad Anna Bonaiuto.
Restano nel cast principale anche Anna Della Rosa, Marco Foschi, Leda Kreider e Sandro Lombardi ma, a ravvivare gli intrighi personali e amorosi di ‘Durante’, arrivano comunque anche cinque giovani attori scelti, dopo una trentina di ’provini’ dell’Auteur (più dichiaratamente interessato alle esperienze pregresse di vita che alla capacità di recitazione dei ragazzi stessi), in una classe della scuola del Piccolo.
I fortunati - o le vittime, a seconda dei punti di vista - si chiamano Miruna Cuc, Cecilia Fabris, Pasquale Montemurro, Caterina Sanvi e Pietro Savoi. Si sono fatti trovare diligentemente raccolti a raggiera intorno all’Auteur già un quarto d’ora prima della conferenza stampa, compiacenti e sorridenti, a tratti ridanciani.
Altrettanto ha poi dovuto mostrare di essere partecipe, quando si è seduta a metà sala, l’unica del cast che ha osato arrivare in ritardo, con tanto di zaino da palestra, la ‘povera piccola’ Kreider, trentenne che sembra proprio la classica ragazza perbene. L’altr’anno, dopo la prima di ‘Prima’, Leda presentava ai colleghi i genitori arrivati dal Veneto, con un papà americano che dalla fisicità tradiva la professione di ufficiale dell’areonautica.
Viceversa Sandro Lombardi se n’è rimasto chiuso e silente nella doppia corazza di attore esperto e co-produttore, con la compagnia Lombardi-Tiezzi. Ha marcato visita l’altro uomo del trittico rambertiano, Marco Foschi, forse doveva andare dall’oculista (ah, ah) dopo essersi calato così bene nel ruolo di ‘Edipo re’ per Andrea De Rosa, nella nuova applaudita produzione del TPE Astra.
Anna Bonaiuto, addirittura, s’è platealmente alzata per salutare un passante, mentre ancora stava parlando Rambert, che infatti sembra non aver gradito proprio la distrazione, seppur mostrandosi solo lievemente infastidito, biascicando un commento sulla stranezza delle distrazioni degli attori.
Su Anna Della Rosa, infine, il discorso sarebbe lungo. A parte che è sempre diligentissima e molto educata, è anche l’attrice italiana di Rambert per eccellenza, ha recitato in tutte le versioni delle opere dell’Auteur, e sa mostrarsi sempre riconoscente e devota.
Certo, adesso potrebbe pure infischiarsene, tanto è diventata mattatrice, fresca di complimenti e applausi per una Cleopatra considerata dai critici una spanna sopra all’Antonio stesso (primo in scena, come da titolo shakespeariano 'Antonio e Cleopatra'), che era interpretato dal compagno e regista Valter Malosti.
Non si dà arie, in ogni caso, Anna Della Rosa, nemmeno per il divertente cameo nella serie di Sky ‘Call my agent’, dove ha reso così bene la figura di un’arrogante consulente d’immagine che vuol trasformare in ‘bad guy’ Claudio Santamaria. E vedremo quanto dovrà tornare a soffrire, per le solite pene d’amore, in questo ‘Durante’, come le toccava di fare in ‘Prima’.
Di strano si sa anche che a un certo punto di 'Durante' arriva addirittura in scena uno spirito che in questo Piccolo teatro è stato di casa per oltre tre quarti di secolo, Arlecchino. Attenzione, specifica subito Rambert, come se ce ne fosse bisogno: sarà ‘un Arlecchino cattivo come lo voglio io, sempre violento con le parole, anche nei lazzi più divertenti’.
Ci saranno pure delle marionette e, pare di capire, alcuni riferimenti al tragico passato del teatro come luogo delle torture nazi-fasciste a Milano.
Di sicuro anche stavolta non c’è da aspettarsi che possa fare irruzione la realtà, a parte quella del teatro stesso. Del resto Rambert di questo vive e si nutre, da anni, di teatro ‘teatrato’ e teatrante. A sentire le sue presentazioni, è solo attraverso questa lente che gli si rivela quel che sa del mondo.
Per esempio spiega di aver scoperto, andando a esportare nell'ex Alto Volta francese il suo solito 'Sorelle', che il Burkina Faso ha una tradizione teatrale importante - incredibile! Ma che saranno mai stati riti e maschere dell'impero dei Mossi? E le teorie antropologiche sull'origine del teatro dell'africanista Victor Turner, che piacciono tanto anche a Longhi?
Rambert è poi riuscito a rendersi conto e a comunicarci che in Messico ci sono problemi molto gravi per quanto riguarda la condizione della donna - accidenti, questa poi è nuovissima! Ciudad Juàrez, in effetti, è famosa soltanto per gli allevamenti di Chihuahua…
‘Dopo qualche giorno di prove in teatro a Città del Messico, continuavo a sentirmi ripetere dagli attori, e dalle attrici in particolare, la stessa domanda: a che ora si finisce questa sera?' ha spiegato l'Auteur. 'All’inizio mi sembravano insolenti, poi mi hanno detto che dopo una certa ora le donne evitano proprio di andare in giro, lì c'è una situazione davvero difficile per loro’.
Meno male che almeno sull’Italia dice di avere le idee più chiare da sempre (è nato a Nizza): è il Paese del mare e delle canzoni di Sanremo. ‘Ho bisogno di leggerezza e amo l’immagine che associo a questa idea: l’estate in Italia, di fronte al mare, bevendo un crodino e ascoltando una canzonetta’.
Si torna indietro di una stagione, però, a ‘Durante’, dove risuonerà soprattutto ‘Maledetta primavera’ di Loretta Goggi. Dichiara Lambert in cartella stampa: ‘l’ho scelta perché faceva parte della colonna sonora di uno spettacolo di Pippo Delbono, che avevo adorato (‘La gioia’, 2018-19); ho pensato che un giorno l’avrei inserita in uno dei miei testi perché adoro Pippo e mi piaceva l’idea di ricevere un dono, anche se ‘involontario’ da lui’.
Fermi tutti, dramaholici e ‘delbonisti’ di complemento: riavvolgete il nastro del toccante spettacolo che Delbono ha voluto dedicare alla memoria del suo compagno di scena Bobò, dimenticate la commozione di Pippo e l’altalena vuota, lasciate stare quella strepitosa composizione floreale di Thierry Boutemy, contrappunto coloratissimo al rito d’elaborazione del lutto: what about it? ‘Che fretta c’era/ Maledetta primavera/ Che fretta c’era/ Maledetta come me’, questo è quel che resta.
Persino Longhi sembrava un po’ mogio, a tratti. Di certo si è presentato meno Direttore Professore del solito, ha fatto il cortese padrone di casa limitando al massimo le parole nell’introduzione, e ha aggiunto giusto una domanda, alle poche dei giornalisti, per far meglio esplicitare all’Auteur il doveroso omaggio al padre fondatore del Piccolo.
Basta fare il confronto con il ‘solito’ Longhi che invece si ritrova nel testo preparato per la cartella stampa (1), con tanto di aulica e inedita citazione del critico d’arte francese Henri Focillon, lo studioso d’estetica celebre per il saggio ‘Vie des Formes’ (1934). Si vede che l’ha scritto tempo addietro.
Ora, alla fine, quasi tra i rumori dei bicchieri e dei piatti del buffet, incassa con un mezzo sorriso un altro po’ di complimenti per il cartellone del festival ‘Presente indicativo’, dal palco li aveva fatti Rambert stesso. Non si sbilancia più di tanto sulle date della prossima eventuale rassegna, 2026 addirittura: ‘bisognerà poi fare un’attenta riflessione sui calendari’, risponde Longhi a tu per tu con un giornalista che voleva lumi sul perché della scelta delle due settimane iniziali di maggio.
Oggi Longhi ha persino la voce più bassa del solito, quasi da postumi influenzali, e se non si può dire certo che gli si siano drizzati i capelli come se avesse appena visto un fantasma, sembra però proprio uno che è come rimasto lì, a riflettere, perplesso, su qualcos’altro. In fondo è arrivato ormai alla fine del suo primo incarico triennale.
Chissà, magari nei corridoi o nelle stanze intorno alla sala di via Rovello, dove è facile imbattersi nel solito ingombrante spettro di Giorgio Strehler, può pure essere che Longhi abbia intravisto il Maestro Fondatore mentre s’attardava a chiacchierare, meno tonitruante del solito, con qualche consigliere d’amministrazione del Piccolo, di quelli che oggi…, no, non Geronimo Larussa, non è possibile, no: forse era il solito ostinato Aspirante Direttore, Massimiliano Finazzer Flory.
Mentre dalla sala risuonavano altri versi della nota canzone: ‘Che imbroglio era/ Maledetta primavera?…Se per errore/ Chiudo gli occhi e penso a te’.
(1) TI ‘RI-FOCELLON’ UN ATTIMO IO, PASCAL: PAROLA DI DIRETTORE
introduzione di Claudio Longhi per il programma di sala di 'Durante'
Indagando la vita delle forme, lo storico dell’arte Henri Focillon osservava che «l’opera d’arte è un tentativo verso l’unico: s’afferma come un tutto, come un assoluto; e, nello stesso tempo, fa parte d’un sistema di relazioni complesse. È il risultato d’un’attività indipendente; traduce un sogno alto e libero; ma in essa si vedono anche convergere le energie delle civiltà. Infine è materia e spirito, è forma e contenuto». Nell’incontro tra teatro e arti visive questa vibrante miscela si intensifica grazie alla presenza di corpi in carne e ossa che dialogano e si muovono nello spazio – o semplicemente lo abitano – innescando contrasti e sintonie, allontanamenti e attrazioni. È il caso di Durante, seconda tappa del percorso creativo che Pascal Rambert ha concepito per il Piccolo Teatro di Milano. Mantenendo come gangli originari le tre “cantiche” visionarie della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, capolavoro rinascimentale retto da una sofisticata proporzione di piani e diagonali, lo spettacolo svela una “elettrica” ragnatela di rapporti, affetti e incidenti d’amore. Ne è cardine la parola: forgiata dal cristallino labor limae con cui Rambert plasma una lingua a misura della mirabile compagnia in scena (con nuovi innesti, interni alla Scuola di Teatro “Luca Ronconi”), affonda nella superficie raggrumata dell’esistenza e insieme si eleva a slanci metafisici. Evocando un poeta tanto caro al drammaturgo francese, un battello ebbro di fragilità, turbamenti, apparizioni (l’Arlecchino strehleriano!) disegna le linee di una dimensione erotica della pratica teatrale che racconta, in fondo, del nostro desiderio di ri-conoscerci nell’altro.