La Grecia torna al ruolo guida anche nel post-teatro: prendete nota di quest'altro nome, Mario Banuschi
02.12.2024
'Si sta preparando una grande bufera', anzi due: 'Tre Sorelle' dalla rivoluzione ai buchi neri, così Čechov incanta sempre e fa discutere
Quello della compagnia Muta Imago, fin dal nome che allude a un'immagine silenziosa e insieme cangiante, è un approccio tanto intellettuale quanto più ampio del solo teatro tradizionale, anche nei riferimenti.
Lo si poteva capire bene anche soltanto dalla reazione del pubblico degli appassionati dopo la prova finestra milanese con ‘Tre Sorelle’, nell’ambito del festival FOG, al netto di un successo notevolissimo e dei complimenti sinceri subito ricevuti in sala dagli stessi Claudia Sorace e Riccardo Fazi, il giovane duo alla guida di Muta Imago.
Nel non esiguo capannello che si è formato all’uscita della Triennale per attendere la compagnia e applaudirli di nuovo, si potevano sentire pareri diversi soprattutto sul contenuto, perché tutti sono rimasti a bocca aperta per la bellezza dell’impianto teatrale.
E qui conviene ricordare che, al risultato della regia di Sorace e del ruolo di dramaturg e sound-designer di Fazi, hanno contribuito al meglio: tre strepitose giovani performers (è riduttivo definire solo attrici, in questo caso, Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli); le musiche originali eseguite dal vivo da Lorenzo Tomio, che occupava uno spazio a parte in palcoscenico, a sinistra della ideal-casa delle sorelle (posizione di per sé così efficace, per garantire quell’effetto straniamento da teatro post-brechtiano); l’essenziale e significativo disegno delle scene di Paola Villani; i costumi coerenti e da meraviglia di Fiamma Benvignati; infine, ma non ultima, ovvero solo per ribadirne l’importanza, la light-designer Maria Elena Fusacchia, che è responsabile anche della direzione tecnica della compagnia.
Bravi, bravi e bravi, tutti, per davvero, con lode pure perché perfettamente armonizzati e sintonici.
I paragoni, all’uscita, volavano davvero alto, e non solo da parte di chi sosteneva che fosse il miglior spettacolo italiano che finora aveva visto quest’anno. Un signore fanatico, pur all’apparenza decisamente maturo, considerava addirittura che lo stile fosse stato 'un po' alla Bob Wilson', e ricordava che una tale visionarietà, di recente, in Italia l’aveva riscontrata solo ne ‘La Tempesta’ di Alessandro Serra.
In effetti pochi, persino tra i raffinati fog-triennalisti doc, si sarebbero aspettati di trovare Muta Imago a riproporre un classico cechoviano con uno standard così eccellente e originale, con grande cura del vero e proprio risultato d’impatto, quel non so che nell’immagine complessiva che tiene incollati lì persino i malmostosi.
Già perché non mancano mai quelli che si irritano magari anche per una minima esagerazione, per qualche grido, per un effetto con luci stroboscopiche, per qualche piccola frase che risulterebbe posticcia nei testi originali di un Maestro veneratissimo.
Nello specifico di queste 'Tre Sorelle' si notava almeno un passaggio singolarmente scientifico, evidentemente aggiunto da Fazi, sulla questione del movimento del tempo. Venivano evocati persino quei ‘buchi neri’ che nemmeno si poteva immaginare, nel 1899, il povero Čechov già alle prese con l’avanzare della tubercolosi e perciò nel buon ritiro di Jalta.
Sì, è vero che in ‘Tre Sorelle’ si trova la battuta considerata quasi una profezia della rivoluzione comunista che esploderà 18 anni dopo: ‘E’ giunta l’ora, si sta preparando una grande e violenta bufera… spazzerà via dalla nostra società la pigrizia, l’indifferenza…E presto tutti lavoreranno. Tutti.’
Ma è proprio difficile trovarci pure l’allusione al concetto fisico di buco nero, che fu abbozzato per la prima volta nel 1916, subito dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale di Einstein.
Sono stati proprio il lavoro di ‘smembramento e ricomposizione’ dei quattro atti originali di ’Tre Sorelle’ (1), nonché la partenza al presente con il ritorno indietro e l’intreccio più stretto tra le tre protagoniste, che hanno poi fatto alzare il ciglio ad alcuni appassionati severi.
Per esempio, una giovane signora, decisamente del ramo teatrale, dopo aver applaudito con svogliatezza in fila G, interrogata diceva: ‘adoro la Piseddu e alla fine per me è sempre un piacere vederla in scena, ma lo spettacolo mi sembrava tutto ‘troppo’, e non mi ha convinta prima di tutto perché se non conosci il testo, non capisci nulla’.
Salvo che, alla fine, dopo quel 'too much', è la stessa signora che s’interroga dovendo ammettere: ‘forse lo avrei apprezzato se non fosse stato Čechov’.
All’opposto, un giovane nerd frequentatore di festival e davvero teatro-dipendente (ama persino fare la comparsa, occasionalmente), si diceva basito d’ammirazione, come l’amica coetanea accanto, proprio perché entrambi non sopportano i classici rifatti staticamente e filologicamente.
Ancora dopo la prima del 28 febbraio a FOG, un’entusiasta erudita di turno - che ha un certo occhio, anche per mestiere - , spiegava pazientemente a un amico meno pronto: ‘questo ‘Tre Sorelle’, in realtà, è proprio ‘cechoviano’, sia per la fedeltà sostanziale di una così singolare attualizzazione, sia per il risultato ‘teatrale-teatrale’ così ben riuscito’.
Se si va poi ad approfondire un attimo, si scopre che già alla storica prima assoluta, con la regia di Konstantin Sergeevič Stanislavskij - per tutti, compreso l'amico-nemico Čechov, semplicemente Alekseev - ‘Tre Sorelle’ colpì il pubblico e gli addetti ai lavori soprattutto per la straordinarietà dell’allestimento. ’Sembra un insuccesso, insomma’, si schernì l'autore in una lettera: ‘va be’, è uguale. Da parte mia non scriverò mai più per il teatro’ (proposito che ugualmente aveva fatto dopo 'Gabbiano'...).
Eppure proprio il Paolo Grassi del mitico Teatro dell’Arte moscovita, Nemirovič-Dančenko, che era il vero interlocutore e sodale di Čechov, sostiene nelle sue memorie che ‘Tre Sorelle’ sia stato ‘lo spettacolo meglio riuscito’ dell’intera filiera di capolavori sfornati in pochi anni, e questo ‘per lo straordinario insieme e le soluzioni registiche’, annotando ancora: ‘pur senza lo spessore lirico del precedente ‘Gabbiano’.
Un’altra verità storica da mettere sul piatto della bilancia, è che lo stesso Čechov, presente alla prima lettura teatrale del suo testo, reagì con grande sconforto perché gli era sembrato che il piano del dramma vero e proprio, a cui tendeva decisamente nei suoi intenti d’autore, potesse scivolare in un attimo nel ‘vaudeville’, massimo orrore ai suoi occhi. E, purtroppo, ogni tanto capita ancora di vedere ridotta a 'pochade' qualche opera del genio della grande 'malinconia slava'.
E di certo stavolta, da questo punto di vista del 'drama', Čechov può restarsene anche idealmente ben tranquillo nella sua sobria ultima residenza al cimitero Novodevičij di Mosca: nella riedizione dei Muta Imago ‘Tre Sorelle’ diventa un gran bel dramma per così dire post-teatrale, nel senso che utilizza, facendoli propri, con lo stesso smembramento e ricomposizione intenzionali della drammaturgia, molti linguaggi oggi a disposizione, senza schiacciarsi su quel ‘performativo post-drammatico’ che sovente sa solo di negazione ideologica del teatro.
Stringendo sul tema Čechov, la parola conclusiva spetta a Lev Dodin, immenso regista russo contemporaneo, che ha firmato alcuni capolavori che ha poi ri-allestito ancora intorno al 2015, come l'insuperabile 'Gaudeamus' e una versione de ‘Il giardino dei ciliegi’, passato al Piccolo di Milano nel 2017, con il palcoscenico vuoto e gli attori sotto, in una platea rivestita di bianco con grandi teli, da brividi anche solo a ripensarci ora.
Per Dodin il punto chiave è considerare che in Čechov ‘tutti i caratteri sono impregnati dell’immensa compassione, della tenerezza, dell’amore e della comprensione del loro autore’. E non c’è dubbio che le tre ‘sorelline’ in scena per i Muta Imago convincano gli spettatori con un’eccellente prova artistica che muove veramente a commozione.
Decisamente, bisognerà parlare presto di nuovo di questa singolarissima compagnia.
(1) CITAZIONI IMPREVEDIBILI E SPIEGAZIONI ALTE
Da un’intervista a Riccardo Fazi di Marì Alberione per 'Duel'
D.: Come hai lavorato sul testo di partenza?
R.: Di base sono partito da una riflessione su come il nostro presente continua a contenere il passato così come contiene molecole del futuro. ‘Tre sorelle’ di Čechov è già di per sé un testo che si muove nel tempo perché sono 4 atti, per ogni atto passa il tempo, ma già dalle prime battute di Olga ci sono tre tempi contemporaneamente: oggi fa caldo, non come un anno fa quando è morto nostro padre, ma come undici anni fa quando siamo partiti da Mosca… , quindi il tempo è subito una delle grandi questioni.
Il lavoro che ho cercato di fare, e che si è sviluppato piano piano, è stato sulle linee energetiche perché il tempo, come tutto quello che ci circonda, è una questione di vibrazioni, di energia. La fisica teorica, la fenomenologia ci dicono che il tempo non esiste e che tutto esiste contemporaneamente, ma questo si scontra con la nostra percezione del tempo: noi esistiamo ed esistiamo per una porzione limitata di tempo.
Questo è un po’ il conflitto, però ne facciamo esperienza perché nelle nostre vite ci sono momenti che raggiungono un’intensità talmente forte riuscendo a lacerare questa rete di tempo che sembra scorrere in maniera lineare e facendo apparire ciò che è stato o ciò che sarà.
In questo lavoro di smembramento e ricomposizione dei quattro atti, abbiamo scritto un testo che parte dal presente delle tre donne, dal presente delle tre attrici, che vengono riattraversate da questi momenti seguendo flussi energetici che sfondano la rete temporale e si muovono anche indietro nel racconto secondo linee di intensità, come l’incendio, perché gli eventi che puntellano il dramma fanno sì che gli squarci si riaprano. E l’energia che muove tutto, alla ‘Interstellar’, non è altro che l’amore.
D.: In effetti c’è molto cinema nel vostro spettacolo: la destrutturazione del tempo di Nolan, le scimmie dell’alba della creazione di ‘2001: Odissea nello spazio’, ‘L’esorcista’ con le sorelle possedute dagli altri personaggi… Quanto il cinema è un riferimento nel vostro lavoro?
R.: Il nostro teatro si nutre di tutto ciò che teatro non è. Questo da sempre, perché comunque crediamo più nel potere trasformativo che creativo dell’arte.
Un riferimento importante è stato in realtà ‘Grey Gardens’ di Albert e David Maysles, un documentario del 1975 sulla cugina di Jacqueline Kennedy e su sua figlia. Successivamente è stato fatto anche un film (di Michael Sucsy, nel 2009, ndr) con Jessica Lange e Drew Barrymore, ma di nessun interesse.
Il documentario dei fratelli Maysles è bellissimo, si trova online in versione originale e integrale e racconta la storia di queste due donne che divorziarono dai rispettivi mariti, persero tutto e si trasferirono nella villa negli Hamptons non uscendone più e continuando a vivere come se il mondo fosse fermo agli anni 70, mentre fuori tutto il resto andava avanti.
Questa è stata l’immagine molto forte da cui siamo partiti per collocare le nostre tre sorelle nella casa dove tutti sono andati e da cui sono partiti, chiuse in questo buco nero dal quale non riescono a uscire.