Sveglia, milanesi! Sarete anche i numeri uno per qualità della vita, ma una bella lezione d'umanità ci vuole
20.11.2024
Si torna al bianco e nero, in latino, con un recupero di alcuni 'quasi classici' contemporanei: ecco il primo programma della Biennale '24
Ci sono ancora diversi buchi, nel calendario del 52mo Festival Internazionale del Teatro di Venezia, almeno stando alla presentazione ufficiale che si è tenuta martedì 26 marzo nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, insieme con l’illustrazione degli altri programmi della Biennale DMT, ovvero della danza e della musica.
E così, considerando pure che i vincitori dei Leoni era già stati annunciati da settimane, non ha forse avuto l’impatto che ci si sarebbe aspettati l’ultima introduzione dei curatori Stefano Ricci e Gianni Forte, che chiudono con questa rassegna del 2024 la loro esperienza come direttori di quattro edizioni.
A pesare sarà stato pure l’impegno quasi solenne profuso dal nuovo presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, che ha voluto introdurre presentandosi con una perorazione culturale e politica tutt’altro che d’occasione, con citazioni e riferimenti alti, nel segno di maestri ‘tradizionalisti’ del pensiero del Novecento, come Henry Corbin e Pavel Florenskij (1).
Per contro, pare che il calendario del Teatro s’attesti subito intorno a una certa consolidata idea del post-moderno, aldilà del disorientante titolo latino ‘Niger et Albus’, nero e bianco.
Nei giorni d’apertura, dal 15 giugno, gli appuntamenti forti sono con Gob Squad Theatre, il collettivo anglo-tedesco che è stato tra i protagonisti della scena berlinese 'post-post-drammatica' di fine anni Novanta-primi Duemila (con Rimini Protokoll, She She Pop e altri raccolti intorno alla nuova sala indipendente HAU).
Insigniti del Leone d’argento 2024, ormai a trent’anni dalle primissime esperienze, gli artisti di Gob Squad porteranno a Venezia due opere emblematiche del loro repertorio, peraltro già abbastanza conosciuto in Italia: ‘Creation (Picture for Dorian)’ sulla relazione tra artista opera e spettatore, e l’installazione ‘Elephants in Rooms’ che, come da programma, ‘illumina quattordici finestre dei nostri interni sicuri da cui guardare il mondo’.
‘Sulla stessa lunghezza d’onda’ - fanno notare Ricci e Forte - il calendario della Biennale Teatro prosegue con un singolare ‘Have a Good Day!’ dell’ensemble lituano con la scrittrice Vaiva Grainytė, la musicista Lina Lapelytė e la regista Rugile Barzdžiukaitė, già premiato con il Leone d’oro alla Biennale Arte 2019, per il miglior padiglione.
Opera lirica contemporanea e perfomativa, rappresentata la prima volta in Italia al Teatro Argentina di Roma nel 2018 e ripresa ancora nel ’23 al MamBo di Bologna, ‘Have a Good Dai!’ vede in scena allineate dieci cassiere in un supermercato, con un pianoforte, ‘per un affondo sottilmente eversivo dei nostri riti consumistici’, come suggerisce la scheda.
Non è mancato il solito slalom retorico: Ricci ha sfoderato un’altra decina di aggettivi enfatici con il solito ritmo imperturbabile da duro, mentre il timido Forte si è scusato per sottolineare i suoi più strani neologismi.
Ineffabile l’incipit della presentazione del programma, allegato anche in cartella stampa: saranno ospiti della rassegna - tout court - ‘i game-changer della scena contemporanea, compagnie che sono espressione di nuove forme della teatralità e un nuovo modo di essere spettatori’.
(Ma diciamo pure che su quali siano state, o siano, le autentiche rivoluzioni nel teatro, il dibattito è aperto).
Per così dire in quota Corbin, si fa notare il ripescaggio, con ‘Blind Runner’, del regista drammaturgo iraniano Amir Reza Koohestani, ‘da anni presente sulle maggiori scene d’Europa con il suo Mehr Theatre Group fondato a Teheran nel ’96’: Venezia festeggia il passaggio di stagione, il 20-21 giugno, con questa sua ultima piéce, che gli spettatori appassionati milanesi hanno già visto, peraltro senza reagire con particolare entusiasmo, l’anno scorso a FOG.
Sempre dal festival di Triennale Teatro e da una recentissima tournée italiana, dopo l’esordio al Teatro India di Roma, arrivano alla consacrazione veneziana anche Claudia Sorace e Riccardo Fazzi di Muta Imago, con l’incantevole ‘Non Tre Sorelle’, dal testo cechoviano, con musica dal vivo.
Da sottolineare anche il ritorno in Italia di un personaggio come il britannico Tim Crouch, attore e regista sperimentale, balzato all’attenzione internazionale una decina d’anni fa per le riscritture originali, e fin quasi provocatorie, di Shakespeare attraverso i personaggi minori: il 26 e 27 giugno Crouch sarà in scena con’ Truth’s a Dog Must to Kennel’ nella parte del Fool di ‘Re Lear’.
Altri titoli di pregio andranno presto a riempire le varie caselle del programma finora etichettate soltanto con ‘nuovo spettacolo in via di definizione’: del resto, Ricci e Forte promettono addirittura un’agenda di spettacoli ‘tutti tesi a intrecciare un ordito divinatorio, un mosaico per interpretare il nostro Domani’.
Al presente, invece, certamente si fanno notare le giornate finali, nel week-end 28-30 giugno, per due prime visioni di rilievo.
Il gruppo che conquista il Leone d’Oro alla carriera, Back to Back Theatre, formazione australiana di Geelong che da ormai trent'anni ha trovato nella disabilità uno strumento di indagine artistica, presenta per la prima volta in assoluto in Italia un suo spettacolo, ‘Food Court’.
Ritorna a Venezia Milo Rau ma propone la sua nuova sfida tra tragedia classica e attualità: titolo originale ‘Medea’s children’ (prima già prevista, al teatro belga NTGent, per il 18 aprile) anche se lo spettacolo sarà in tedesco e viene pure indicato come ‘Medeas kinderen’ (per il secondo debutto, il 31 maggio, a Wiener Festwochen, il grandioso festival di Vienna che Rau è stato chiamato a dirigere). Biennale Venezia se ne è assicurata la prima partecipando come partner alla produzione stessa.
Sarà ‘una piccola storia di teatro e una scuola di vita tanto crudele quanto poetica’ si legge come dedica nella scheda diffusa da NT Gent (2), che si chiude con il sommario: ‘‘I figli di Medea: le assurde e sanguinose tragedie della vita adulta viste con gli occhi dei bambini’.
Dal breve video di presentazione, che si può trovare sul sito del teatro belga insieme con alcune foto di scena, si evince che al cast di bambini e giovanissimi si affiancheranno due attori piuttosto noti, quanto esperti di teatro artistico d’avanguardia: Peter Seynaeve, che per Rau è stato anche già coach della compagnia, in precedenti spettacoli; e Lien Wildemeersch, che è pure una musicista di vaglia. Entrambi, durante la direzione artistica di Rau a Gent, si sono già misurati anche come registi.
Per affrontare questa prova tutt’altro che agevole è stata chiamata pure Katie De Jeest, che si è formata come studiosa di teatro prima di intraprendere la carriera di drammaturga al NTG dal ’22, e ha già scritto con Rau ‘Familie’ e il commovente ‘Everywoman’ con Ursina Lardi.
Medea a teatro è un ostacolo sempre molto impegnativo; pochi registi, anche tra i più bravi, ne sono usciti felicemente. E nel caso di Rau bisogna pure considerare che, dopo l’enorme successo e vista la prolificità artistica, non mancano ormai critici e addetti ai lavori che lo aspettano con i fucili puntati, pronti per additarne i difetti già annotati di schematismo e prevedibilità.
Di certo, lo stile Rau diventato canone, nonostante nasca da un dichiarato anticonformismo, rischia purtroppo inevitabilmente di finire nel convenzionale. Chissà se è per questo che ha voluto ripartire dai bambini.
NOTA (1) QUEI DUE STRANI 'COMMENDATORI' DEL NUOVO PRESIDENTE BUTTAFUOCO
Henry Corbin è stato un orientalista francese di fama, studioso di islamismo sciita e di esoterismo; il russo Pavel Florenskij, matematico e pensatore, ingegnere e teologo, presbitero ortodosso e iconografo di vaglio, fu internato nei gulag, per cinque anni, dal regime di Stalin, prima della fucilazione nel ’37.
I due nomi di peso che il nuovo presidente Buttafuoco si era appuntato sull’ultimo dei foglietti del suo discorso, trattandosi pur sempre del contesto legato ai programmi delle rassegne di Danza, Musica e Teatro contemporanee, sono sembrati abbastanza curiosi, anche solo perché afferiscono entrambi a un mondo culturale filosofico del Novecento da catalogo Adelphi delle origini.
Si parla di due intellettuali originalissimi, di quelli che fino all’altro ieri erano guardati con sospetto da una certa intellighenzia dominante e compulsati invece con passione dai frequentatori alla Elémire Zolla degli ‘arcana mundi’.
Tra l’altro quest’anno Florenskij sta conoscendo finalmente la meritata aura, tanto che sono ormai quasi introvabili i due Oscar Mondadori con la traduzione italiana delle sue più potabili lettere (i saggi adelphiani sono letture quanto mai impervie).
Massimo Cacciari, com’è noto, parte da un richiamo a Florenskij per costruite il suo ultimo saggio ‘Metafisica concreta’ e, tanto per fare un altro esempio, mentre per anni poteva essere un nome ricorrente giusto negli articoli dello ‘Strano cristiano’ Antonio Socci, adesso ha appena citato una poetica frase del pensatore russo, a proposito di burattini, la nuova regista di punta del cinema italiano, Alice Rohrwacher, nella sua ‘column’ su ‘Internazionale’.
Certo poi che, nel caso della prima di Buttafuoco come presidente della Biennale, l’omaggio finale a Corbin e Florenskij come suoi ‘commendatori’, nel senso etimologico latino di raccomandatori e protettori, valeva in fondo pure come suggello di un indirizzo di politica culturale, esplicitato in precedenza, con diversi riferimenti alla libertà necessaria per mantenere lo spirito d’apertura internazionale dell’istituzione veneziana, diversamente per esempio da quanto accade per le grandi manifestazioni sportive come le Olimpiadi.
NOTA (2) LA SCHEDA DI NTGENT PER 'MEDEA'S CHILDREN'
Con I figli di Medea, l'artista di casa Milo Rau getta uno sguardo nuovo e profondo sul ruolo dei bambini nel teatro. Il punto di partenza è un vero e proprio caso criminale: quello di una madre che, in preda alla disperazione più totale dopo una separazione, decide di uccidere i figli e di togliersi la vita, ma sopravvive.
Questa tragedia moderna si intreccia con la tragedia classica Medea, il più famoso caso di conflitto relazionale e infanticidio della letteratura occidentale.
Un gruppo di bambini coglie questo sanguinoso caso di cronaca nera e la narrazione delle origini forse più oscure della cultura europea come un'occasione per riflettere su se stessi: sulla storia della famiglia, sui primi amori e sui primi incontri con la morte, sui desideri per il futuro e sulle paure della fine del mondo che ci perseguita tutti.
Come affronta un bambino il divorzio dei genitori? Con l'ingiustizia, la rottura delle amicizie, la pressione a scuola? Come affrontano la forza radicale di Medea, la tragedia in generale?
I bambini, condannati al silenzio nelle tragedie classiche, questa volta possono finalmente dire la loro.