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Sous le ciel de Paris, con la fisarmonica suona la nostalgia del mondo di ieri

Félicien Brut nel Théâtre du Châtelet di Parigi.

 Una piccola anticipazione del clima da Francia-Argentina si poteva provare a Parigi lunedì 12 dicembre, nella storica sala all’italiana del Théâtre du Châtelet, dove il fisarmonicista Félicien Brut si è esibito in un concerto con l’orchestra sinfonica della Garde Républicaine, e ovviamente aleggiavano lo spirito e le musiche del grande Astor Piazzolla. Brut, che pure è un ottimo intrattenitore, anche radiofonico, questa volta ha scelto di servirsi anche di una guest-star come il comico Vincent Dedienne, per affrontare la registrazione televisiva dello show, che andrà in onda su france.tv con il titolo ‘J’ai deux amours’. Prima ancora dello spettacolo, notevole il colpo d’occhio anche anche solo sull’apparato di ripresa, da partita di calcio, con tanto di braccio e di binario, oltre alle solite varie telecamere fisse e a spalla. Per i numerosi appassionati di ‘accordeon’ e di canzone francese, che non mancavano in sala - anche i meno giovani, nonostante il freddo pungente -, la vera sorpresa è stato l’ingresso sul palco del maestro Richard Galliano, forse il più grande fisarmonicista vivente, autore di brani di grande impatto, con forti venature anche jazzistiche, che oltretutto festeggiava proprio quella sera il suo 72mo compleanno. Accolto da una vera e propria ovazione da stadio, Galliano ha suonato il suo brano ‘Tango pour Claude’, accompagnato con devozione dall’allievo, e in qualche modo erede, che è appunto Félicien Brut. Il comédien Dedienne (conosciuto anche in Italia dal 2020, per i film ‘La signora delle rose’ e ‘Papà per amore'), si è generosamente impegnato anche nei bis, con tanto di gag sulle posture di scena dell’amico Félicien, dopo aver recitato e cantato con umile bravura il brano di Serge Gainsbourg ‘L’Accordeon’, segnato dall’interpretazione di Juliette Gréco nei primi anni Sessanta. 

 E’ decisamente ancora molto viva a Parigi la tradizione dei fisarmonicisti, che i francesi orgogliosamente fanno risalire alla loro ‘musette’ anche se, peraltro, Félicien Brut è il primo ad ammettere che è stato necessario l’avvento della versione italiana dello strumento per ampliarne le possibilità musicali. Ciò che sorprende il profano è pure la capacità straordinaria di questi artisti della fisarmonica, di misurarsi con grandi orchestre e con le più variegate contaminazioni. Merito anche dei tanti musicisti di livello - che Brut non a caso ha voluto chiamare sul palco per gli applausi il 12 sera - in grado di scrivere ex novo gli arrangiamenti dei classici della fisarmonica, come hanno avuto modo di constatare gli spettatori già al terzo brano in scaletta, una riproposta di parti della celebre tango-operita ‘Maria de Buenos Aires’ di Piazzolla. Per non sbilanciarsi troppo verso l’Argentina, la seconda parte del concerto si apriva con il capolavoro di Hubert Giraud ’Sous le Ciel de Paris’, interpretato dal mezzosoprano Ambroisine Bré con fare molto sorridente, in linea con i versi finali (che raccontano quanto il cielo di Parigi possa anche diventare minaccioso e rovesciare pioggia, salvo poi puntualmente ‘pour se fair' pardonner/Il offre un arc en ciel’), e per non osare nemmeno lontanamente a provare a imitare la classica versione sofferta di Edith Piaf.  

 Quando si parla di musica popolare tradizionale storcono il naso con supponenza in tanti, per esempio nella cosiddetta gauche-caviar, dimenticando l’impegno politico dichiarato di tanti protagonisti, a partire dalla ‘compagna Gréco’, partigiana e militante di sinistra, piuttosto che il ben diverso atteggiamento di veri e propri maestri del rinnovamento di linguaggio, come il regista della ‘nouvelle vague’ François Truffaut, che si è fatto conoscere nel 1960 con ‘Tirez sur le pianiste’, un film interpretato da Charles Aznavour. E la sensazione che sia rimasto ancora un po’ nell’aria quel mondo di Parigi di una volta, la sera del 12/12 del ’22 al Théâtre du Châtelet, è forte: Félicien Brut s’è esibito con l’accordeon sulle spalle nel suo stile ancora così vissuto, un po’ chansonnier e un po’ musicista di strada, nonostante l’avessero rivestito in un elegantissimo abito da sera con la giacca da guru (Kenzo?), accanto a un amico comico che invece, essendo classe 1987, ha dovuto per l’occasione rispolverare il maglione scuro a collo alto da ‘existentialiste’. Tra l’altro Brut non fa mistero delle sue origini semplici e di preferire di continuare a vivere nel quartiere di Parigi in cui presero casa i suoi genitori arrivando dalle montagne dell’Auvergne, tra il cimitero del Pere Lachaise e Gambetta, dove s’è guadagnato i primi soldi esibendosi con la musette nei bar popolari. Come intrattenitore ancora oggi deborda senza problemi, persino fuori dal politicamente corretto: la sera del 12/12 ha fatto addirittura una battuta sulla prorompente mascolinità di Didienne, che è omosessuale dichiarato e impegnato contro l’omofobia.

 L’occasione di questo insolito concerto del lunedì e della ripresa televisiva era il lancio del nuovo album di Félicien Brut ‘J’ai deux amours’, e il cd era disponibile, con dedica, alle casse del teatro; inoltre mezza platea era stata anche invitata a un cocktail a seguire, con Brut e compagni di scena, in un noto bar-birreria belga in Saint-Denis, Au Trappiste. ‘Sous le ciel de Paris/ S'envole une chanson/ Hum Hum…’ Alla fine colpisce anche l’idea che, venendo da una domenica sera al Centquatre Théâtre per il nuovo spettacolo di Christiane Jahaty, si possano davvero incrociare uno dopo l’altro artisti di prim’ordine, davvero tanto diversi, anche solo per genere di proposta, eppure così disponibili anche a un saluto, a una stretta di mano, a uno scambio di parole con gli spettatori. Forse anche questo alimenta l’effetto nostalgia. Del resto, se con il teatro politico post-brechtiano di Jahaty sembrava di fare un salto all’indietro negli anni Settanta, la fisarmonica di Félicien Brut s’apriva a soffietto verso gli albori dei Sessanta, ovvero la fine del mondo di prima.

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