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Strani i colori, Rossi e Nori, strana la bandiera, anarchica della virtù, e strani pure quei sentori Borghesi nella strepitosa pièce 'La libertà'

Paolo Nori in 'La libertà' di Fondazione TeatroDue di Parma

 Si sa che, oltre agli inizi, sono i punti di passaggio, con le vere e proprie svolte di uno spettacolo, a rivelarsi sempre particolarmente delicati. Ed è noto pure quanto rischino di pattinarci sopra i non professionisti. Così, prima di aprire il capitolo forse più facilmente divertente del suo nuovo ‘La Libertà. Primo episodio’, lo scrittore Paolo Nori si ferma un attimo a schernirsi, ricordando una remota esperienza di aspirante attore e l’incontro fulminante con il primo maestro di teatro, il regista Gigi Dall’Aglio. 

 ‘Se vuoi stare in scena,’ - sentenziò Dall’Aglio, rivolto a Nori che è proprio un tipo tutto trottolar di mani, fuori e dentro le tasche, con una quantità di tasche piene quasi mostruosa, e che non sta mai fermo un attimo nemmeno coi piedi - ‘sul palcoscenico ti devi liberare dei gesti parassiti, ne fai davvero troppi, così, involontariamente’.

 Nori, adesso, riconosciuto scrittore e intellettuale di vaglia, una quindicina d’anni dopo quel fatidico giudizio si è voluto rimettere in gioco con il teatro, parlando soprattutto dei suoi amatissimi scrittori russi.

Stavolta in scena, non dovendo più di tanto recitare (‘non recitare’, era la lezione generale di Dall’Aglio alle prove con gli attori) e potendo finalmente fare solo se stesso, Nori cavalca alla grande quei suoi particolarissimi e numerosissimi ‘gesti parassiti’ che avrebbe dovuto invece imparare a controllare. E li usa, evocandoli proprio nella funzione etimologica dell’aggettivo, per aprire e far vivere una grandiosa perorazione contro il linguaggio abusato e trito e ritrito.

 In tale contesto - che, a dire il vero, dopo grandi risate del pubblico si ribalterà in un finale di straordinario impatto emotivo -, Nori si permette persino di mollare un bel metaforico schiaffone alla retorica pubblica dell’attuale figura di Autorità nazionale i cui ‘onore’ e ‘prestigio’ sono tutelati dal vilipendio con apposito articolo 278 del codice penale (eh, un disgraziatissimo sito non può permettersi altro che questa allusione). 

 Del resto, autentico bastian contrario fino al midollo spinale, Nori è un anarchico dichiarato e anzi si confessa seguace dell’anarchismo umanista e romantico del poeta Pietro Gori, ammiratore del coraggio di Bartolomeo Vanzetti dopo la sentenza capitale, lettore attento anche del Proudhon più anti-statalista e libertario, che notoriamente Marx detestava.

Mostra idee chiare e serenamente controverse anche sul regime comunista sovietico e ovviamente trova folle quel clima di nuova guerra totale ai russi, dopo l’invasione dell’Ucraina, con tanto di boicottaggi culturali, che hanno scosso direttamente anche lo stesso Nori.

 Bando alla politica, però. Del contenuto si può aggiungere che consiste in una prima parte sul poeta e scrittore ‘assurdista’ Daniil Charms, assolutamente strepitosa, con tanto di messa in scena della sua opera lirica. Segue la seconda parte con ampia digressione appunto sul linguaggio, l’animo umano e altro ancora.

Volendo, si può bene approfondire tutto grazie al testo pubblicato nel libretto di sala da Fondazione Due di Parma, che produce lo spettacolo (firma insolitamente la regia Paola Donati, che è ai vertici della direzione artistica e organizzativa della pregiata istituzione nata dalla Compagnia del Collettivo e dallo Stabile della città). 

 In senso lato, Nori impartisce una grande lezione morale di pratica della virtù, come una sorta di allievo post-moderno del maestro Epittèto, filosofo stoico dell’ultima stoà (copyright Treccani, sia chiaro, prima che volino epiteti minuscoli e con una sola t...).

 Ma non si può rovinare tutto ai tanti ancora che vorranno vedere questo primo episodio de ‘La libertà’ di Paolo Nori, sbarcata per un assaggio di due giorni a Milano, in Sala Grande al sempre lodevole Teatro Parenti, sul finire di aprile, dopo una breve piccola tournée in Emilia-Romagna. 

 E allora passiamo finalmente alle suggestioni, dato che poi di queste si nutre lo spettatore seriale. 

 Ecco, visto da vicino, in privilegiata poltrona B12 della platea - sarà perché era la stessa sala dello spettacolo di fine anno 'Da questa sera si recita a soggetto!', e sarà perché c’era lo stesso pienone, sarà pure perché il pubblico anche stavolta applaudiva continuamente e alla fine non voleva più lasciare andare il prim’attore, sarà per gli orchestrali dal vivo e pure perché il protagonista non si dà per niente arie, o anche solo per una banalissima coincidenza dei nomi di battesimo -, sarà quel che sarà ma dietro al volto di Paolo Nori appariva in dissolvenza, in certe smorfie per trattenersi dal ridere prima delle battute più strambe, addirittura la maschera straordinaria di Paolo Rossi.

 Ora, che Nori anche a teatro possa risultare sopraffino come narratore e traduttore, nel senso proprio di divulgatore, pochi lo avrebbero dubitato. E’ sorprendente fino a un certo punto che sia anche un così abile predicatore laico della virtù individuale, invece che un corifeo del risentimento diffuso.

Ma chi poteva immaginare che Nori fosse anche - per dirla in latino - ‘naturaliter’ un tale ‘comedian’ - passando al francese, anche per avvicinarsi? Forse soltanto perché ‘l’è d’Perma’, e si sente, eccome? 

 No, non solo: come Nori stesso ama sottolineare, ora si è trasferito a vivere, dopo un peregrinare su scala mondiale, in quel di Casalecchio di Reno (un grande comune della città metropolitana di Bologna, che si estende verso Modena e l’Appennino dalle pendici del Colle di San Luca).

Dunque limitarsi a inquadrare il caso con lo spirito del luogo di Parma, per poi dover aprire una querelle con mezza Emilia, non è possibile. Si rischia di prenderle.

 Un solo inciso per intendersi bene: un anno o due fa, dopo qualche meraviglioso spettacolo internazionale di danza a I Teatri di Reggio, nell’osteria ancora aperta a tarda sera, ordinando ‘solo un piatto di formaggio, nient’altro’, così per accompagnare qualche buon bicchiere di vino rosso, il malcapitato dramaholic di passaggio da Milano ebbe la disgraziata idea di aggiungere ‘va bene anche se c’è soltanto parmigiano-reggiano’ e, apriti cielo!, fu travolto da una dissertazione di veemente fervore sull’odioso primo suffisso geografico posticcio del grana locale.

 Tornando al dunque, lo spettatore appassionato che riesce a non farsi travolgere soltanto dalla bellezza delle parole di Nori, ma cerca d’inquadrare anche il suo notevole profilo teatrale, ama poter rintracciare pure alcuni sentori in senso lato bolognesi, ovvero del mestiere di Nicola Borghesi, il co-fondatore e frontman della compagnia Kepler-452, con cui lo scrittore ha condiviso per un tratto il palcoscenico, nel 2019-20, nel dialogo-incontro intitolato ‘Se mi dicono di vestirmi da italiano non so come vestirmi’. 

 Per onor di cronaca va aggiunto che Nori deve aver preso da Borghesi anche il vezzo di starsene lì tranquillo, una buona mezz’ora prima, davanti alla sala che si sta per riempire dei ‘suoi’ spettatori. E lunedì 29 aprile nel foyer del Parenti era disposto a chiacchierare amabilmente di nuove traduzioni dei classici russi, e poi pure di teatro, con lo sfacciato che s’è permesso di presentarsi a interrogarlo.

Resta solo da aggiungere, come ha scritto alla fine della prima recensione un critico titolato, Nicola Arrigoni (1), ‘Grazie’ con la maiuscola iniziale, o forse pure senza abbassare tutte le altre lettere e con qualche vocale in più: GRAZIEEE. 

Nell'immagine della locandina il piccolo Danja Juvacev, più noto poi come Daniil Charms

(1) Giù il Sipario, ma che malinconia

 Come raccontare ‘La libertà. Primo episodio’ di e con Paolo Nori? Un modo potrebbe essere quello di sintetizzare il racconto di resistenza e di passione, di vita e di emozioni che lo scrittore e studioso di letteratura russa fa nella sua Parma. Così Paolo Nori racconta della figura di Daniil Charms, nato nel 1905 e morto nel 1942 in manicomio, dimenticato da tutti, morto in manicomio, autore per bambini, ma con opere e poesie al limite dell’assurdo che lo hanno reso uno dei grandi della letteratura russa della prima metà del Novecento. 

 In realtà ciò che porta in scena Nori è una temperatura emotiva, è un racconto intimo che si fa ancora più intimo perché accade nella sua Parma, quella città che nel 1922 resistette, unica in Italia, ai fascisti che, guidati da Italo Balbo, avevano cercato di conquistarla. Quella stessa Parma che dieci anni dopo, quando ormai aveva ceduto al fascismo, aveva accolto la visita di Italo Balbo, reso famoso per la trasvolata sull’Atlantico, con una scritta in vernice bianca che diceva. «Balbo, t’è pasé l’Atlantic mo minga la Pärma».

 E il legame fra Charms e quella scritta lungo il Parma è così suggerito da Nori: «Charms ha scritto una volta. Voglio che le parole che scrivo siano come pietre, che se le butti contro la finestra si spacchi la finestra». In un continuo passare dalla Russia a Parma, dalla storia della letteratura a quella privata di Nori, ‘La libertà. Primo episodio’ regala una serata fatta di emozioni e di parole, regala la capacità dello scrittore di affabulare con leggerezza. 

 Lo scrittore/raccontastorie trasforma in musica e ritmo la sua scrittura paratattica e sporcata di oralità che colorata con l’accento parmigiano ben predispone, diverte e commuove. Il dialogo fra parola e musica è un dialogo sottile e continuo, le parole si nutrono del respiro musicale e la musica sembra assumere connotati verbali e narrativi, il tutto in una cornice scenica che ammicca al teatro e all’intimità di uno studio di scrittore. 

 Nel riferire de ‘La libertà. Primo episodio’ c’è la necessità di restituire la freschezza e piacevolezza di una serata che ha saputo essere affettuosa e intima, in grado di coinvolgere anche chi di Parma non è, ma proprio perché così ben connotata geograficamente in grado di dare concretezza a parole e luoghi, volti e vite, anche quando si parla di Russia e di quell’Unione Sovietica che fu utopia e regime totalitario, quasi senza soluzione di continuità.

 Paolo Nori officia al rito del teatro con una spontaneità che commuove e lui stesso si commuove quando elenca ciò che può considerarsi paradiso, vita oltre la morte, eternità intravista nelle cose di tutti i giorni, nelle gioie e nei dolori piccoli e grandi di un vivere normale, in cui sguardi e affetti divengono il valore assoluto che sconfigge la morte e l’oblio un po’ come accade per il dialogo che Nori intesse con i suoi autori, con Anna Achmatova, Lev Tolstoj, Gogol’, Dostoevskij, Iosif Brodskij, Ivan Gončarov, solo per citarne alcuni.

 Al termine de ‘La libertà. Primo episodio’ si esce leggeri ed emozionati, commossi e divertiti con un retrogusto malinconico che rende bella una tersa serata a Parma con le stelle che brillano come non mai. Grazie. 

 Nicola Arrigoni (28 marzo 2023)


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