La Grecia torna al ruolo guida anche nel post-teatro: prendete nota di quest'altro nome, Mario Banuschi
02.12.2024
Andersson, un maestro svedese 'dono del Signore' di nome e di fatto
Breve elenco di motivi per cui un italiano può desiderare di essere svedese. Sono escluse le risposte troppo facili, tipo il tavolino Lack dell’Ikea, oppure i film di Ruben Östlund.
Sebbene sia uno strano gioco per terminare il primo caldo week-end dell’estate 2023, non nasce assolutamente dal clima, ma dai postumi davvero notevoli dovuti alla visione dello spettacolo ‘Vi som fick leva om våra liv’ (Noi che abbiamo vissuto le nostre vite di nuovo), per la Biennale Teatro Emerald, il 21 e 22 giugno, nel Teatro alle Tese dell’Arsenale di Venezia.
Della breve premessa fa anche parte la cronaca di una straordinaria reazione di coinvolgimento di tutto il fortunato pubblico delle due repliche.
Ancora alla seconda rappresentazione persino gli assistenti di scena della Biennale, che pure avevano seguito anche le prove, applaudivano entusiasti, e poche altre volte si può vedere un coinvolgimento del genere anche tra i lavoratori dietro le quinte.
Quindi, ovviamente, l’elenco delle buone ragioni per vivere la seconda vita da appassionati di emozioni artistiche in Svezia comincia così.
Numero 1): poter andare a vedere spettacoli come questo che l’autore e regista Mattias Andersson, protagonista di prim’ordine della scena teatrale e culturale svedese, ha allestito nel 2019 per il Backa di Gothenburg, teatro militante e un po’ alternativo della città dove è nato e dove ha mosso i primi passi come attore nel 1993;
1 bis): poter seguire anche il resto della programmazione del Royal Dramatique Theater di Stoccolma, di cui Andersson dal 2020 è direttore artistico (ruolo che fu anche di Ingmar Bergman, nome ricorrente tra quelli che gli addetti ai lavori spendono quando parlano delle opere di Andersson).
Numero 2): googolare il nome del nuovo regista preferito e trovare molte più occorrenze delle due o tre striminzite che si rintracciano in italiano: si fatica persino a trovare online una qualche recensione per il suo unico precedente passaggio, al festival Vie di Emilia Romagna Teatro, nell’ottobre del 2016, con ‘The Misfits’;
2 bis): prima di tutto poter linkare con soddisfazione al sito personale di Andersson, che si chiama confidenzialmente mattiasdrama.se e introduce bene al genere di teatro contemporaneo praticato da questo regista e autore, anche solo scorrendo la sequenza di immagini caricate sull’home-page, hem in svedese.
Numero 3): poter avere come critica teatrale di riferimento Anna Hedelius, giornalista culturale di fama, storica della scena svedese e pure scrittrice di racconti: una che invece d’impancarsi come potrebbe, alla fine della recensione, quando si chiede quale messaggio trasmetta ‘Vi som fick leva om våra liv’, risponde: ‘forse nessuno, perché in realtà lascia aperte tante domande’, dichiarando che questa riflessione si basa sul dialogo che ha captato tra madre e figlia spettatori vicini occasionali…;
3 bis): apprendere tutte le informazioni del caso su ogni spettacolo senza vederselo rovinare per pregiudizio o compiacenza.
Numero 4): lasciarsi incantare da attrici che non sembrano nemmeno recitare e sono in grado di trasportare il pubblico nelle emozioni senza mai forzare i toni, anche quando si tratta di primedonne come Marie Richardson, che ha lavorato, tra l’altro, per Bergman, nelle sue due ultime regie teatrali, piuttosto con Stanley Kubrick al cinema;
4 bis): applaudire di nuovo la strepitosa Ylva Gallon, alla cui leggerezza è affidata la chiave quasi comica d’ingresso e d’uscita dal congegno perfetto dello spettacolo, con la dichiarazione-ritornello che sarebbe stato meglio studiare francese e non tedesco a scuola;
4 tris): poter fare con calma un discorso analogo per tutti i maschi del cast, giovani e meno giovani.
Si dovrebbe andare avanti fino al 10 ma è meglio chiudere qui, aggiungendo soltanto che:
- lo spettacolo di Andersson è un rarissimo esempio di teatro socio-antropologico: nasce da un’indagine effettivamente condotta su un campione di 137 persone e poi rimaneggiata con gli attori stessi;
- ha una forte impronta filosofica, dichiarata; è probabile che a lamentarsi di aver studiato tanto tedesco a scuola sia il nostro Mattias: cita esplicitamente l’eterno ritorno di Nietzsche ma si capisce che avrebbe preferito leggere in originale ‘Les Passions de l’ame’ di Cartesio;
- è anche un testo morale, che a un certo punto sembra voler insegnare agli spettatori che la seconda vita è possibile soltanto in chiave di redenzione e riscatto dalla prima; ed è questo l’aspetto che irrita alcuni.
Comunque si giudichino i contenuti, bisogna tener conto che non ha scelto lui di essere Mattias, ovvero ‘dono del Signore’, di nome e pure di fatto, dato che sul piano formale Andersson confeziona un meccanismo teatrale incantevole, che funziona perfettamente e muove alla compassione, soprattutto in una sorta di controfinale davvero da groppo in gola o lacrimoni...
...basta spoiler, nella remota speranza che qualche teatro italiano abbia il coraggio di riproporre questo o altri spettacoli analoghi di Andersson.
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