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Lezioni di nobiltà con piccoli gesti di grande importanza: Eugenio Barba a Milano per Odin60 al Teatro Menotti

Ritratto di Eugenio Barba (foto Francesco Galli)

 Peccato per quei quattro stronzetti altezzosi delle cricche dominanti nei teatri milanesi, ché non si sono nemmeno presentati a rendere il doveroso omaggio che merita Eugenio Barba, Grande Vecchio protagonista dell’ultima 'riforma' vera della storia del teatro.

C’erano invece anche tanti Signore e Signori impegnati per un teatro diverso, e tanta gente del mestiere davvero appassionata, ma si sono mescolati semplicemente tra i volti insoliti del ‘popolo’ dell’Odin accorso al Teatro Menotti per festeggiare i 60 anni della fondazione del celeberrimo Teatret di Holstebro.

 Invero, senza dirlo si festeggiavano un po’ anche gli 88 anni raggiunti così bene, sempre a piedi francescanamente scalzi nel sandalo d’ordinanza tipo Birkenstock, dall’incrollabile Eugenio. E mai nome più indovinato, direbbe un Accademico della Crusca dizionario alla mano, edizione 1830: ‘buono. Di Nobile origine’.

 Già, è stata davvero una rara lezione di nobiltà d’animo. Che è ciò che soprattutto si poteva ricavare, ancora una volta, da un personaggio come Barba che, tra il tardo pomeriggio e la prima serata di sabato 16 marzo a Milano, si è speso in un racconto della sua esperienza di vita e di teatro con il cuore il mano, e l’umiltà profonda dei veri giganti, prima di fermarsi a salutare gli amici ma soprattutto gli sconosciuti, a stringere mani, scambiare complimenti, ascoltare tutti, raccogliere persino il libro e il dattiloscritto di questa o di quello.

 E, alle venti, Barba finalmente si accomoda tranquillo sulla poltrona F1, ma non ha nemmeno il tempo di tirare il fiato prima di vedere i suoi attori in scena con ‘La Casa del Sordo. Capriccio su Goya’. Ecco arriva lì per lì ancora una giovane signora ben vestita, un po’ timida, sottobraccio all’ancor più elegante anziana madre, con bastone, e sorride e guarda dritto verso Barba, e poi dice: ‘volevamo solo conoscerla, posso?’, chiedendo educatamente prima di porgere la mano. 

 Ovviamente, invece di restarsene acquattato in santa pace, il nobile signor Barba si è alzato quasi con un inchino verso la sua fan coetanea ma meno prestante, e si è fermato a scambiare altre due parole con la figlia caregiver.

E poi, con calma, è tornato giù, schiacciato sulla prima poltrona a destra della quinta fila della sala del Menotti, ed è rimasto concentratissimo, per l’intera ora del suo meraviglioso ‘Capriccio’ sul mistero della Bellezza e della Vita attraverso la storia d’artista e di uomo di Francisco Goya.

Non ha applaudito, Barba, forse è l’unico che in sala non l’ha fatto, ma chi conosce la storia e la filosofia dell’Odin sa quanto sia controverso il rapporto con gli applausi e i riti della fine della rappresentazione, che negli spettacoli tradizionali fuori dal palco di questa compagnia di artisti militanti sono stati tout court aboliti.

Viceversa, è tanto intenso, pur non formalmente, il rapporto con gli spettatori, che possono o devono fermarsi dopo a dire la propria con gli Odinisti, ma sono da sempre anche invitati a scrivere poi da casa commenti e consigli, e chissà quante migliaia di lettere del genere ha compulsato Barba nella lunga carriera!

 Sempre restando solo sui finali, perché è pur sempre il momento chiave della catarsi aristotelica, si è chiusa in modo quanto mai significativo anche la lunga conversazione di Barba con il popolo milanese dell’Odin, che è stata peraltro una grande lezione di teatro sotto forma di cronache vivacissime, dalla nascita al grande salto internazionale, dell’esperienza del Teatret.

Prima dell’inevitabile accenno scaramantico all’ultimo atto della sua stessa esistenza terrena, Barba ha voluto nominare e ringraziare l’artefice prima di questa venuta a Milano, Gaia Gulizia.

 Ecco, alla fine ci si può pure aspettare un nome altisonante di professore o critico, che so? un erede più o meno diretto di Franco Quadri; oppure un allievo dei guru alla Jerzy Grotowski che Barba ha avuto accanto in questo percorso rivoluzionario nel teatro povero e del terzo teatro; o anche solo un direttore, almeno il buon Emilio Russo del Menotti stesso, che in fondo era il gentilissimo padrone di casa. 

 Eh no, il grazie finale è andato alla piccola blogger appassionata di 'Gaia e l’Incanto', che peraltro ha appena raccontato l’esperienza di un ritorno in Salento accanto al sempre disponibile Eugenio.

Qualche tempo fa, chiacchierando a margine di un’intervista, Gaia ha scoperto che Barba, in fondo, aveva il desiderio di passare di nuovo a Milano. E così ne ha accennato a uno degli angeli del Menotti, che hanno girato subito l’occasione di un contatto fattivo al direttore Russo, ed è nata infine questa indimenticabile mini-rassegna Odin60. 

 Ecco la morale della nobiltà dell’animo dell’artista: se una ‘Gaia Diana Dalia’ blogger dell’incanto, con il solo biglietto da visita di ‘autrice di poesia e narrativa, giornalista culturale e di viaggio, performer teatrale, fotografa’, volesse bussare alla porta di uno qualunque dei mediocri stronzetti altezzosi che sono al potere nel teatro pubblico italiano...

 Barba forever, forever Odin!

Un'immagine da 'La Casa del Sordo' con Rina Skeel (foto Francesco Galli)

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