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Vedi alla voce 'nuovi maestri fiamminghi', dall'arte performativa al teatro documentario

Una scena di ‘Out of blue’ con Silke Huysmans e Hannes Dereere.

Si potrebbe cominciare da Milano, ovvero dalla sala dell’Out Off che ospita spesso spettacoli intriganti e dall’associazione culturale Zona K con base nel quartiere Isola, che seleziona proposte davvero interessanti, ma mettiamola così: sarebbe partigianeria. Dato che poi, invece, ci si dovrebbe muovere dal bel mezzo dell’Oceano Pacifico, per essere obiettivi e responsabili, anzi proprio dal fondo degli abissi, che ora sono messi in pericolo per l’avidità delle società minerarie.

Sarebbe laggiù, nelle profondità inesplorate, il punto di partenza per parlare di questo ‘Out of blue’, un vero piccolo gioiello di quello che i maniaci di definizioni chiamerebbero ‘teatro documentario’. Sorprendente anche nell’approccio di contenuto, perché apre senza paraocchi la delicata questione della sostenibilità ecologica della stessa cosiddetta svolta green, e in particolare della riconversione all’elettrico del parco auto, che richiede grandi quantità di alcune materie rare, ormai disponibili solo scavando a cinquemila metri sotto il mare, con i rischi connessi.

E’ il terzo capitolo di una trilogia che ha per tema l’estrazione mineraria, presentata negli ultimi 5-6 anni da due trentenni belgi, Silke Huysmans e Hannes Dereere. I due artisti vivono di base a Bruxelles ma la firma completa in locandina, Huysmans&Dereere/CAMPO, porta a Gand, o Ghent o Gent che dir si voglia: CAMPO - scritto così, tutto in maiuscola e in italiano - sta per un centro pubblico che si propone come una sorta di laboratorio dell’innovazione teatrale, con tre sedi nella cittadina cult delle Fiandre. 

Negli anni capita sempre più spesso di vedere i prodotti di artisti davvero degni di nota, che gratta-gratta sono di Gand, o hanno studiato negli ottimi dipartimenti di scienze teatrali delle quotate facoltà di Gand (in questa capitale culturale delle Fiandre vivono in media più di 40mila studenti universitari, uno ogni 5/6 abitanti), o hanno lavorato nelle varie sale, laboratori, centri o campi con il codice postale 9000 e poco più, dove si possono seguire le orme dei ‘maestri fiamminghi’ delle arti performative.

E allora partiamo proprio da qui, invece che da Milano o dal Pacifico come si dovrebbe: a questa città teatrale d’eccellenza, una sorta di rovescio della medaglia turistica fiamminga alla Bruges, in verità ci spinge una fresca questione di cuore. E’ che, proprio il giorno dopo l’immersione negli abissi con Huysmans&Dereere, siamo riusciti ad andare a pesca in quel di Reggio Emilia, sì, incredibile ma vero: precisamente nel Teatro Ariosto, la seconda splendida sala della validissima programmazione curata dalla Fondazione I Teatri nella città del tricolore e dell’erbazzone.

E la preda era proprio grossa, ‘da urlo’: niente meno che quel ‘Out of context - for Pina’ che Alain Platel ha dedicato a Pina Bausch nel 2009, forse l’unico spettacolo che viene riproposto ogni tanto dalla sua pregevolissima compagnia cangiante, dove cambia a volte persino il marchio: il nuovo sarebbe Lageste, ma restano a seguire i vecchi ‘Les Ballets C de la B + Kabinet K’… 

Premesso che si rimanda ogni commento su questi 85 minuti di teatro-danza davvero unici a più competenti recensori (toc-toc, riapriti Open bar!), torniamo al tema di Gand per ricordare che Platel non è certo l'unico, ma forse il più importante protagonista del teatro contemporaneo di casa nella cittadina fiamminga.

Per stare sempre sui riconosciuti maestri, a dirigere l’istituzione nazionale teatrale belga più importante, l’NT Gent, è stato chiamato il regista guru d'origine svizzera Milo Rau, ed è da qui che ha lanciato nel 2020 il suo influente e discusso ‘manifesto di Gent’, una sorta di decalogo neo-neorealista e post-brechtiano (‘Primo: Non si tratta più soltanto di ritrarre il mondo. Si tratta di cambiarlo. L’obiettivo non è quello di rappresentare il reale, ma di rendere reale la rappresentazione stessa’). 

Giusto per dovere di cronaca, l’ottimo Milo Rau si presenta come una sorta di opposto speculare del nostro Platel. Quest’ultimo è un autentico modello di understatement, decisamente più a proprio agio con il linguaggio del corpo che con quello delle parole altisonanti. Per descrivere come è nato uno spettacolo tanto poetico come ‘Out of context’, durante la presentazione a un festival in Francia, Platel si è schernito sostenendo che il merito va alle capacità d’improvvisazione dei suoi nove ballerini: ‘Volevo fare un omaggio a Pina e ho cominciato a lavorare invitando ciascuno dei miei ragazzi a imitare una giraffa quando partorisce…’ 

Ma lasciamo l'estasi dramaholica per Platel 'for Pina', e veniamo al nostro 'Out of blue'. Nonostante il taglio realistico e impegnato, ‘documentario’ come appunto dice qualcuno, anche Huysmans&Dereere non amano impancarsi troppo, e lo si vede subito, persino da come si presentano di persona. Hanno scelto addirittura di mostrare in corso d'opera, su due schermi laterali ai quattro grandi monitor in cui si svolge la narrazione, il vero e proprio menù dei file da cui pescano i vari spezzoni audio e video che vengono riprodotti.

E poi questa performance multimediale scorre benissimo perché è costruita con ritmo e ironia (il primo collaboratore è un bravo drammaturgo, Dries Douibi, direttore artistico del Kunstenfestival des arts di Bruxelles), così che lo spettatore resti inchiodato a bocca aperta per sessanta minuti di fila, potendo uscire alla fine dalla sala con tante nuove domande aperte e svariate belle suggestioni, invece che soverchiato dal peso dei soliti giganteschi problemi del mondo. 

Bisogna infine dire che Huysmans&Dereere (a Milano, lo abbiamo detto, grazie a Zona K, che festeggia il decennale con una bella sequenza di proposte) contribuiscono in modo decisivo alla messa a punto di un nuovo linguaggio per il teatro civile, la versione post-digitale, una svolta anche generazionale di cui c’è bisogno e di cui ci sono già visti vari esempi.

E come nel teatro tradizionale i grandi maestri sono in grado di convivere con le nuove proposte, anche nel teatro civile l’approccio classico può comunque ancora resistere bene: lo si poteva facilmente constatare, sempre dalle poltrone dell’Out Off milanese, domenica 19 febbraio, per la serata del festival FOG di Triennale Teatro dedicata al reading di ‘Leggere Lolita a Teheran’ con l’attrice, autrice e attivista Cinzia Spanò - alla quale speriamo di poter dedicare presto lo spazio che merita - affiancata al pianoforte dalla musicista Roberta Di Mario: brave, brave, brave bravissime entrambe. 

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