" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

La magia teatrale di Fabrizio Gifuni, narratore di segreti della 'res pubblica' italiana, che fa rinascere Moro e Pasolini

 Accidenti, com’è amato Fabrizio Gifuni! E’ uno che può riempire un teatro con più di cinquecento posti, di lunedì, a fine maggio, nel 2024, a Milano. E, a colpo d'occhio, ci saranno un centinaio di nonne eleganti che se lo spupazzano già con gli occhi. Ma alla fine sono soprattutto i giovani a trascinare le selve d’applausi, e deve persino far lui cenno al pubblico che è ora di chiudere, con inchini e sbracciate del genere ‘grazie, grazie, ma adesso basta’. 

 E dire che ha appena interpretato un monologo tutt’altro che facile su Pier Paolo Pasolini, dal titolo: ‘Il male dei ricci’, dove i ricci stanno per il Riccetto, l’Alduccio, il Begalone e gli altri ‘Ragazzi di vita’ del controverso - e tanto scandaloso nel 1955 - romanzo sui giovani delle borgate romane.

Il lavoro di Gifuni su PPP forma il singolare dittico dei ‘Fantasmi della nostra storia’, insieme con la strepitosa pièce su Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse, che perlomeno godeva del traino delle interpretazioni cine-televisive del leader democristiano con la regia di Marco Bellocchio.

 E’ una mezza vita che Gifuni frequenta il mito di Pasolini e s'è abituato subito bene, cominciando in ottima compagnia, ormai vent’anni fa, con un regista tra i più intellettuali, Giuseppe Bertolucci, con cui si è cimentato in un altro ardito dittico, ‘Gadda e Pasolini, antibiografia di una nazione’.

 Il nostro 'ragazzo' della classe 1966, figlio di un grand commis di Stato che ha gestito per quindici difficili anni il Quirinale, poteva agilmente sedersi in qualche comoda poltrona e godere dei favori del caso. Ha scelto invece di studiare da attore, all'Accademia D'Amico, e di lasciarsi affinare quel suo straordinario talento d’interpretazione da maestri della regia tutt'altro che teneri o di buon carattere, da Massimo Castri a Luca Ronconi.

Ed ecco qui il risultato che si può godere ancora fino al 29 maggio, al Teatro Parenti, sempre che abbiate voglia di aspettare qualche rinuncia dell’ultimo minuto, segnandovi sulla lista d’attesa.

 In quest’ultimo Pasolini è come se Gifuni svelasse da capo le sue doti straordinarie, chè nel suo Moro di ‘Con il vostro irridente silenzio’, in fondo, non riservava quasi a nessuno la sorpresa di vederlo calarsi così bene nei panni dell’uomo politico la cui tragica vicenda ha segnato un giro di boa della storia italiana.

Ora, che sia un attore tra i più preparati culturalmente è risaputo, basta vedere nel curriculun sul ponderoso sito ufficiale: in palcoscenico ha già spaziato, tanto per citare solo gli scrittori italiani ripresentati negli ultimi anni, da Primo Levi a Italo Calvino e persino a un poeta difficile come Giorgio Caproni.

 Ma fa impressione la capacità intellettuale, oltre che di recitazione, con cui imbastisce il suo monologo pasoliniano, alternando di base la lettura molto caricata di alcuni brani di ‘Ragazzi di vita’ e la riproposizione dei più celebri interventi contro il consumismo e l'omologazione nella società di massa, ma inserendo persino alcune poesie in friulano.

Anche solo la scelta di aprire con la lettera a Calvino in cui PPP respinge l’accusa di rimpiangere ‘l’Italietta di un tempo’ è davvero molto indovinata, esattamente come la scena finale nella quale interpreta la chiusa di ‘Ragazzi di vita’, con il Riccetto che lascia morire annegato Ginesio. Per non dire del trucco di ripetere più volte i versi dialettali, per renderli comprensibili e tradurli in italiano.

 Si può sempre obiettare che Gifuni non sia certo l’unico in grado di allestire un bel monologo su Pasolini, ma certo con gli anni avrà imparato sempre di più e così ora lo può fare con intelligenza e con garbo rari.

Soprattutto senza paraocchi ideologici, con una passione che non è la classica ‘pro e contro’ dei vari sedicenti intellettuali mediatici, in gran parte ancora troppo invidiosi o acritici rispetto al mito PPP, ma che si fa invece compassione, anche grazie all’interpretazione più asciutta nelle parti in cui fa lo scrittore.

 A forza di vedere spettacoli teatrali, persino uno zuccone si rende conto di quanto siano fondamentali i momenti di passaggio e qui Gifuni è, a detta di tutti, assolutamente magistrale. Salta in maniera davvero unica da una parte del racconto all’altra senza nemmeno prendere fiato, fluidificando tantissimo il ritmo del discorso ma riuscendo comunque a segnalare la cesura tra i diversi blocchi, in ciò aiutandosi anche con i movimenti in scena.

E’ questa la vera magia del format Gifuni, la giostra che non si ferma fino alla fine, della sua voce ammaliante e del continuo sapiente uso del corpo, con quel roteare degli arti sui tre assi dei diversi piani. 

 Dopo di che avrà pure ragione la sempre ammirevolmente appassionata Andrée Ruth Shammah, che stavolta ha voluto tenere di persona il pistolotto pre-spettacolo per far staccare i cellulari al pubblico, senza nemmeno pubblicizzare l’imminente ripresa della sua ‘La Maria Brasca’.

Gifuni, ha spiegato la Shammah a fine esortazione, è già oggi uno di quei personaggi talmente significativi che sono destinati a restare per sempre come spiritelli benigni sui palcoscenici che calcano. 

 Ci mancava pure una presentazione così, per avere ancora l’idea di quanto sia davvero 'viziato' il nostro inaggetivabile attore, ché è insieme primattore, aut-attore, divulg-attore e via elencando. 

 Due belle signore che si sono accomodate nella centrale fila H perché una non riusciva a risalire i gradini della platea con il bastone, chiacchierano fitto sul loro beniamino già dieci minuti prima dell'inizio. E la più raffinata, a un certo punto, suggerisce che Gifuni è paradossalmente uno dei rari esempi, nella sua generazione, di non tradimento della figura paterna.

In effetti, può avere un senso quest'evocazione, a proposito di lavori su Moro e Pasolini che, in fondo, sono quasi una sorta d’impossibile ‘provocatio ad popolum’, per far commutare le loro condanne a morte in rinascita nella memoria collettiva.

Così anche Fabrizio, volente o nolente, mostra le sue doti di grand commis della ‘res-pubblica’ italiana. Solo che, all’opposto della scuola del silenzio e della responsabilità del padre Gaetano, Gifuni jr ha studiato per parlare in pubblico e, invece di tenere i segreti, li illumina, eccome, fossero pure i lati oscuri della nostra storia.

 'Forza, trovategli un difetto', dice per gioco uno spettatore borghese di mezza età in un capannello di signore entusiaste fuori dal teatro. 'Si prende troppo sul serio?' prova a suggerire canzonatorio. No e poi, risponde una al suo fianco: è così bravo che gli si può perdonare tutto, persino il successo, i vezzi e i vizi connessi.

Ultimi Articoli